mercoledì 22 ottobre 2014

IN LIBRERIA DIRTY MARKETING, IL SECONDO LIBRO DI EMMANUELE MACALUSO



Dirty Marketing, il nuovo libro dell’esperto di marketing Emmanuele Macaluso, è finalmente arrivato nelle librerie.

Edito da Golem Edizioni, è un saggio che in modo semplice e puntuale svela molti trucchi del marketing sporco con i quali i consumatori entrano inconsapevolmente in contatto tutti i giorni.

Nelle 224 pagine del libro, Emmanuele Macaluso (già autore del Manifesto del Marketing Etico e di un precedente saggio intitolato "Bende Invisibili" ndr) tratta temi complessi e spinosi quali il neuromarketing, la persuasione occulta e ne fa vedere concretamente le applicazioni nella vita reale. A questi temi aggiunge esempi pratici, accompagnando il lettore a fare un giro tra le mille insidie di un supermercato o analizzando i danni sociali e psicologici creati dall’utilizzo dei social media.

Un viaggio nei coni d’ombra della pubblicità, del giornalismo e dei media, tra momenti seri e altri più divertenti e dinamici.



SCHEDA DEL LIBRO

Titolo: Dirty Marketing

Sottotitolo: Quando tutto è una menzogna, solo la realtà può salvarti

Formato: Brossura

Editore: Golem Edizioni - Torino

Collana: Uomo - Saggi

Anno di pubblicazione: 2014

Lingua: Italiano

Pagine: 224



Sito Web: www.dirtymarketing.it

Pagina Facebook: www.facebook.com/DirtyMarketingBook

Twitting: #DirtyMarketing



SINOSSI

“Le nostre scelte e i nostri acquisti potrebbero non essere davvero nostri”



Cosa ci spinge a fare un acquisto? È davvero una nostra libera scelta, o qualcuno ci manipola e noi rispondiamo semplicemente a degli stimoli? Quando entriamo in un supermercato, decidiamo noi dove spingere il carrello? E se la nostra realtà fosse una percezione così ben congeniata da diventare la nostra realtà?

Ci sono studi e segreti messi a disposizione del dirty marketing, che impattano contro le nostre vite decine di volte al giorno, che influenzano le nostre scelte con conseguenze che ricadono non solo su noi stessi. Esistono stimoli, luoghi comuni e azioni di comunicazione in grado di pilotare il nostro comportamento.

L’autore del Manifesto del Marketing Etico, acclamato dalla stampa come una “science-star” del marketing, con un linguaggio puntuale dal punto di vista scientifico, ma chiaro anche per i profani, ci guiderà attraverso i lati oscuri del marketing, offrendoci la soluzione più efficace per difenderci: la consapevolezza.

Sei pronto a conoscere la realtà e a difenderti?



Dal libro: "Pensa all’ultima merendina che hai mangiato, e che è finita nel tuo carrello perché la mamma te la faceva trovare sul tavolo la mattina per colazione. Non è un caso che alcuni prodotti vivano per intere generazioni di consumatori. Passano da padre in figlio, manco fossero un’eredità. Pensa alla macchina fotografica che ti sei fatto regalare, di quella marca giapponese specifica, perché non avresti mai potuto comprare un prodotto hi-tech di un Paese diverso da quello.

Ricorda il gingle pubblicitario che ti è venuto in mente quando hai visto un prodotto sullo scaffale. Ritorna al momento in cui, sentendo una canzone, hai ricordato e desiderato di essere in un luogo per te importante. E quel ricordo è stato così potente da averti convinto a tornarci. Cambiare rotta è difficile, ma possibile!

Pensare al marketing come qualcosa di giusto o sbagliato non è tecnicamente corretto. Come tutte le scienze gode di una sua neutralità. È un mezzo, non un fine. La responsabilità è strettamente legata alle scelte che vengono fatte circa l’applicazione e i fini delle strategie di marketing."



INDICE

Capitolo 1:   Dai persuasori occulti ad oggi

Capitolo 2:   Neuromarketing

Capitolo 3:   Realtà e percezione

Capitolo 4:   I marcatori somatici

Capitolo 5:   La privacy non esiste ed è anche colpa nostra

Capitolo 6:   Siamo tutti guru

Capitolo 7:   Facciamo un giro al supermercato

Capitolo 8:   Le parole del marketing

Capitolo 9:   Le false malattie

Capitolo 10: Vietato fare, te lo dico io!

Capitolo 11: Il greenwashing

Capitolo 12: Ricapitolando

Capitolo 14: Riflessioni

domenica 21 settembre 2014

GLI U2 E APPLE SONO I SECONDI A NON REGALARE UN ALBUM, MA UNA STRATEGIA DI MARKETING


ISSUE n° 38
(Tempo di lettura: 6 minuti)
Ci sono date che contano più di altre. Alcune per motivi storici, altri per motivi commerciali e altre ancora perché rendono tutto diverso. In altre parole, ci sono momenti in cui tutto cambia.
Una di queste è il 9 settembre 2014, giorno in cui gli U2 e Apple hanno contribuito a cambiare le regole del business musicale e contemporaneamente hanno certificato indirettamente alcune priorità che sono state sempre sottovalutate da molti “tecnici” e dal mercato.

Lo scorso 9 settembre, Apple ha donato ai propri utenti I-Tunes l’ultimo album della band irlandese. Gli utenti hanno trovato nella propria libreria il file pronto per essere scaricato gratuitamente. Tutti, anche quelli che mai avrebbero comprato un album della band di Bono Vox. Secondo il comunicato apparso  nella pagina creata appositamente sul sito ufficiale Apple, l’operazione avrebbe interessato circa 500 milioni di utenti. Numeri da capogiro, talmente grandi da rendere difficile comprenderne la reale grandezza. Cerchiamo di farlo. Se è vero che in Italia ci sono circa 60 milioni di persone, immaginate che tutti gli abitanti di più di 8 Italie siano entrati in contatto con questo progetto.
Per prepararmi alla stesura e all’analisi di questo articolo, come sempre, mi sono informato e ho letto qualche decina di articoli.
Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è che, testate musicali comprese, nessuno ha preso minimamente in considerazione la qualità del prodotto musicale. Nessuno ha sottolineato in qualche modo la bontà dell’album. Sarà bello? Orribile? Mediocre? Sembra che nel caso specifico non importi a nessuno. Ed è proprio così. Infatti, non a caso, ne parliamo su The Marketing Blog Italia.

Il vero “prodotto” da vendere è un’enorme operazione di marketing e d’immagine. L’album non è altro che un pretesto.

A dirla proprio tutta, l’album non sarà proprio del tutto gratis, infatti il prossimo 13 ottobre uscirà nella sua versione “fisica” e non digitale. E i veri fan, che sono anche collezionisti, compreranno l’oggetto da esporre in casa.
Ma qual è davvero la vera straordinarietà di questa operazione di marketing? Semplice, non ha nulla a che fare con la musica, ma con i numeri. Gli U2 hanno venduto - e a caro prezzo - ad Apple il proprio pubblico reale e potenziale. Di fatto hanno “ceduto in usufrutto” la propria credibilità e i propri volumi. In altre parole tutti  i risultati della passata strategia di brand management.
Apple invece, oltre al denaro, ha messo nel piatto anche i propri utenti e il loro spazio digitale.
Ad essere sinceri, questo accordo non è il primo del genere. Infatti, già nel luglio del 2013, Jay Z (oltre 21 milioni e mezzo di fan sulla sua pagina Facebook) ha regalato il suo Magna Carta Holy Grayl ad un milione di utenti della Samsung, firmando un accordo per una app con il colosso coreano.
Nell’eterna diatriba tra Samsung e Apple un altro punto a favore dei coreani.

Ma torniamo al caso degli U2. Quali sono i parametri che hanno fruttato agli irlandesi qualche milione di dollari e un nuovo numero di utenti potenziali? A proposito, la cifra alla base dell’accordo non ci è data saperla.
I parametri la centro della transazione sono: valore del brand “U2”, anni di carriera, numero degli album e volumi di vendita, premi e riconoscimenti, press review, valore d’immagine delle attivitò sociali e di CSR, numero e imponenza dei tour, numero dei fan incontrati durante i concerti e le manifestazioni.
A questo bisogna aggiungere la salute del “corpo digitale” della band.
Proprio così, sono fondamentali il numero dei contatti sul sito ufficiale e la capacità di attrarre, di rimanere in contatto e coinvolgere i propri fan attraverso i social. Fattori resi ancora più essenziali, visto che l’intera operazione è digitale.
A questo proposito, è molto interessante l’immagine iconica scelta per “visualizzare” l’operazione: un vecchio vinile con il titolo scritto a mano. Foto scelta per attivare i marcatori somatici e aiutare il nostro cervello a riconoscere e percepire come “più reale” un’azione puramente virtuale.
Anche in termini di social gli U2 sono dei giganti, anche se a dire il vero non dei titani.
I fan della pagina Facebook sono più di 18 milioni e i follower su Twitter sono più di 315.000. (1)
Dati lontani rispetto al già citato Jay Z e ad altri colossi digitali come Bon Jovi, Queen, Michael Jackson, Beyoncé e altri. Analisi, sia ben chiaro, che si vuole basare solo su dati statistici e non su fattori musicali. (2)

Concludendo, la transazione economia alla base dell’accordo tra l’azienda californiana e gli U2 si basa sui volumi e su un nuovo modo di monetizzare il lavoro svolto dalla band e dall’ufficio marketing in passato. A capo  di questa operazione, e del cambiamento concettuale che ne è alla base, non troviamo più Paul McGuinness (storico manager della band ndr), ma Guy Oseary, già manager di Madonna.
Personalmente, non posso che trovare molti spunti di riflessione per la mia professione da questa immensa operazione di marketing, che troveranno adattamento nelle mie prossime strategie. Qualcosa è cambiato per sempre ed è arrivato il momento per i tecnici e per il mercato  di comprendere che spesso il vero prodotto venduto non è quello che viene proposto come tale, ma il pubblico potenziale che sarà coinvolto dal progetto. Questa operazione ufficializza il fatto che spesso l’apparente prodotto è il famoso “specchietto per le allodole”. Ma ancor di più, viene certificato in modo globale che parole come “personal branding” e “brand management” sono la moneta di scambio alla base del business.
Questa operazione di marketing avviene proprio mentre sono impegnato in uno studio internazionale indetto dal Global Marketing Research Institute, relativo alla creazione della credibilità dei musicisti attraverso i social media, e ha confermato molti dei dati preliminari attualmente in nostro possesso. I risultati definitivi saranno divulgati dall’Istituto nei prossimi mesi e ve ne darò conto anch’io.

A proposito, l’album degli U2 si chiama “Songs of innocence”, è formato da 11 tracce e a detta di chi lo ha ascoltato non parrebbe il miglior album della band, The Marketing Blog Italia si pregia di essere tra i primi a scriverlo. Ma come abbiamo visto, in questo caso, la musica non è la cosa più importante. Purtroppo.

(1) Dato aggiornato al 20/09/2014
(2) Michael Jackson (78.871.785 fan su Fb e 1,75 MLN di follower su Twitter) – Bon Jovi (27.062.705 fan su FB e 1,52 MLN su Twitter) – Queen (28.298.840 fan su FB e  694.000 su Twitter) – Beyoncé (64.363.813 fan su FB e 13.6 MLN su twitter)

domenica 11 maggio 2014

ATTACCO ALL’EGO E ALLE RELAZIONI

Issue n° 37
(tempo di lettura: 3 minuti)

Siamo entrati in contatto con parole come reputation management e social media. Ci hanno fornito (a nostre spese) strumenti che “ci mettono in contatto” con il mondo in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo (rete permettendo).
Ma ti sei mai chiesto in che modo, questo nuovo modo di comunicare entra in connessione e condiziona le nostre vite, le nostre abitudini e le nostre attività relazionali? Ma soprattutto, questo mondo virtuale, può falsare la percezione che abbiamo di noi stessi in relazione al mondo che ci circonda?
Quante volte, prendendo la metropolitana, attraversando una piazza o semplicemente in un bar all’ora di pranzo, la nostra attenzione è stata attratta dalle persone attorno a noi? Quante di queste persone ci hanno sorriso, o hanno espresso a loro volta una qualsivoglia forma di attenzione verso di noi? Se la risposta è “capita sempre meno”, forse è quella corretta.
È sempre più facile trovare persone isolate in mezzo alla gente, alle prese con lo smartphone e il proprio profilo, intente a curare le proprie relazioni in modo assolutamente virtuale. Tutto questo, ovviamente, ignorando le persone intorno o addirittura provando fastidio per la vicinanza dei propri simili.
Se è vero che ognuno di noi è un mondo, sembra che non esista più un  universo. Tuttavia, la cosa peggiore è che nel nostro mondo noi siamo i re e le regine, ma il “popolo” non esiste davvero e soprattutto, che siamo alti, biondi, belli e con gli occhi azzurri, ce lo diciamo da soli. A volte in questo mondo costruiamo anche un tribunale, dal quale giudicare gli altri diventa ogni giorno più facile, mentre il nostro scanno si innalza lentamente e inesorabilmente, spinto dal basso verso l’alto dalla crescita del nostro ego.
E si vedono e ascoltano cose che ti danno l’esatta misura dei danni creati da questa visione del mondo.
Ti vengono dette affermazione del tipo: «Mah! Io i selfie proprio non li capisco, non mi piacciono!» (Disse l’uomo con un autoscatto come immagine del profilo Facebook)
«Internet è pericoloso per la privacy e i bambini, ci sono i pedofili! » (Disse la donna che ha cominciato a postare le foto del figlio da quando era ancora nella pancia, mentre utilizzando il cellulare ci fornisce la geolocalizzazione!)
E gli esempi potrebbero essere molti altri. Ma la cosa peggiore è che questo atteggiamento sta producendo danni relazionali e sociali dei quali pagheremo presto le conseguenze.
I “guru” stanno aumentando alla stessa velocità delle patologie contagiose e fondano la loro credibilità non sui risultati, ma sulla percezione e sui numeri “acquistati” a suon di Euro su Facebook.
Aumenta il numero delle persone, che quando trovano una tua chiamata senza risposta sul cellulare, invece di richiamarti si sentono autorizzati a non farlo, e se ti incontrano sanno solo dirti (senza scusarsi) che non hanno avuto tempo. Eppure, al di là della momentanea curiosità per la vita di persone così importanti con le quali abbiamo l’onore di condividere l’ossigeno, del loro impegno temporale non vi è traccia né nella realtà, né nella lista dei risultati.
Questo aumento esponenziale dell’ego assume toni al limite del ridicolo quando vedi alcuni atteggiamenti a dir poco curiosi. Hai mai sentito parlare del termine Osmosi?
Il dizionario Treccani lo definisce così: “In senso fig., influenza reciproca che persone, gruppi, elementi diversi esercitano l’uno sull’altro, soprattutto in quanto intervenga una reciproca compenetrazione di idee, atteggiamenti, esperienze e sim.: o. culturale, morale, sociale.” (1)
Presenti il tuo libro, e alla fine qualcuno ti si avvicina con un telefonino, a malapena ti saluta, scatta una foto e cinque minuti dopo la tua faccia è su un social, senza la firma di una liberatoria (alla faccia della privacy), e con un post che di fatto è l’epitaffio dell’onesta intellettuale.
E poi c’è la nuova tendenza, una strategia di marketing che si basa sul “testimonial del popolo”, in cui il testimonial non è famoso, non si paga e ha un ego enorme.
Il potenziale cliente. Cioè noi!
Molto spesso ci si mette una maglietta, ci si fa un selfie e si comincia a fare spam, così i nostri “amici” vedono quanto siamo importanti. La si usa anche per le “campagne sociali”. Ovviamente nel giro di pochi post di risposta l’oggetto della discussione diventano la maglietta e il sorriso del testimonial e non la tematica della campagna.
Ego appagato, “amici” annoiati a morte, temi della “campagna” con un range di successo che si basa sui “mi piace” e non sugli obiettivi reali raggiunti. Eventi dal vivo vuoti o con le solite 5 o 10 facce. Chissà come mai! Strano!
Premesso che la web credibility ha una sua importanza e una sua logica, con ricadute in ambito anche commerciale, e in più mette in evidenza l’ego dei “guru” che “gurano” da soli, senza un’audience neppure virtuale.
Non è un caso, che ormai ogni programma che va in onda in diretta ti chieda di twittare e commentarne in tempo reale i contenuti, e che sempre più spesso, nella stessa diretta, vengano resi pubblici i volumi del traffico social e web. Come se lo spettatore medio fosse un mass mediologo. Un esempio è “The Voice of Italy” con “collegamenti” nell’ormai famigerata web room, dove una ragazza illustra i risultati dei tweets più in auge della serata. Il collegamento è tra due studi adiacenti, basterebbe invitare la ragazza ad attraversare una porta, ma web room fa molto figo.
Ma gli esempi potrebbero essere molto altri.
Che cosa ci sta succedendo? Succede che anch’io in questo momento sto sbagliando, perché sono davanti lo schermo di un pc a scriverti, mentre potremmo guardarci negli occhi. Succede che voglio cambiare le cose e che per farlo DEVO e DOBBIAMO FARE qualcosa. In questo mondo, quello reale! Quello che ruota attorno al Sole e non quello virtuale che ruota attorno a noi. Penso che ora pubblicherò questo post e poi andrò su un social a parlare e a controllare le mie cose. È un social nuovo che ti consiglio, si chiama piazza! Se una volta lì socializzerò con qualcuno ti manderò un messaggio privato su Facebook!



mercoledì 26 marzo 2014

VATTI A FIDARE DEI TEDESCHI!

ISSUE n° 36



(tempo di lettura: 4 minuti)



Stavo passeggiando con un mio amico in una delle prime giornate assolate di questo 2014.

Fabio, questo il nome del mio amico, si occupa di comunicazione e RP
Ad un certo punto esordisce con una frase: «Hai visto il nuovo spot della Opel? »

«No» gli rispondo io

«Hanno messo la Schiffer e il claim dice “è una tedesca!” »

Io rimango in silenzio, senza capire cosa vuole portare alla mia attenzione.

Poi continua raccontandomi della sua avventura personale. Mi racconta che lui ha avuto una Opel qualche anno fa,  che ad un certo punto gli ha dato dei problemi di natura meccanica, e proprio in quell’occasione ha scoperto che i motori della Opel, in alcuni casi,  non sarebbero tedeschi.

La mia curiosità quindi mi ha portato “ad alzare i sassi per vedere che cosa c’é sotto”.



Quello che ho scoperto ha dell’incredibile e va ben oltre quello che mi ha detto il mio amico. Ma andiamo per ordine.

La campagna, attualmente attiva attraverso molti media, vede la top model Claudia Schiffer come ambasciatrice. A proposito, non si dice più testimonial, così “non porta pena”.

La campagna non è in realtà unificata su un unico modello ma su 4: Opel Zafira, Opel Mokka, Opel Astra e Opel Meriva.

Il Claim come ho precedentemente detto recita: «E’ una tedesca».



Ho fatto quindi una serie di ricerche e ho scoperto che:

La Opel Meriva è prodotta in Spagna, nello stabilimento di Saragozza. (1)

La Opel Astra è prodotta in Polonia e gran Bretagna. (2)

La Opel Mokka è più “interculturale”, viene prodotta in Korea, nello stabilimento di Bupyeong-Gu e in Spagna, nello stabilimento di Saragozza. (3)

La Opel Zafira è l’unica tedesca. (4)



Sull’Opel Zafira voglio fare un piccolo inciso. Perché se è pur vero che la Zafira viene prodotta in Germania, la ricerca ha messo in evidenza una notizia (che è anche di più) che non arriva facilmente ai non addetti ai lavori. La produzione della Zafira passa dallo stabilimento di Bochum a quello di Ruesselsheim. Bochum chiuderà.

Ma la Germania non era la “locomotiva d’Europa”? Ma come, non sono quelli che hanno un peso importante nelle decisioni economiche europee. Che partono da una posizione di forza. Quelli dei sorrisetti e che dettano legge?

Sia ben chiaro, se è per questo a chiudere gli stabilimenti siamo bravissimi anche noi, vedi Termini Imerese!



Quindi, direi che il claim non è molto corretto, visto che 3 modelli su 4 non sono tedeschi.

Ma perché allora, “impregnare” di Germania la percezione della marca e dei modelli?



Facile, per attivare i nostri “marcatori somatici”. E qui si entra nel neuromarketing.

I marcatori somatici sono, secondo Antonio Damasio (5), una sorta di segnalibro, o di scorciatoia, nel cervello. Sono quelle “cose” che si attivano nel momento in cui la nostra esperienza ci fa associare odori, sensazioni, rumori, suoni o preconcetti a qualcosa che fa parte del nostro bagaglio personale e culturale. E i marcatori somatici sono qualcosa di cui ci fidiamo, perché sono esperienze che “noi” abbiamo costruito nel tempo e quindi non controlliamo mai se, dopo molto tempo, la stessa causa produce lo stesso effetto.

Ma siamo davvero sempre noi a costruire i nostri marcatori somatici? E soprattutto, una volta costruiti, la sicurezza che ciò che ci circonda sia immutabile chi ce la dà?

Molte di queste sicurezze si basano sui luoghi comuni, in alcuni casi perfino sulle scaramanzie e spesso vanno addirittura  contro i nostri stessi interessi. Ma questo è un altro discorso che ti sottoporrò più avanti.



Nei nostri marcatori somatici, la classe e profumi di lusso sono francesi (oltre alla baguette), la pizza è italiana, la pessima cucina (e Top Gear) sono britannici, la paccottiglia è cinese, la tecnologia è giapponese e l’ingegneria e la qualità sono tedesche.

E perché dovremmo mettere in dubbio le nostre certezze, soprattutto quando non sono davvero nostre?



In questo caso specifico, la maggior parte dei prodotti non hanno la caratteristica richiamata, non sono assemblati dai “precisissimi tedeschi” e, quello che sto per scrivere non lo dico con soddisfazione perché è una “brutta storia”, che riguarda migliaia di famiglie (queste sì tedesche, anche se a me poco importa della nazionalità), la Germania non è forse così forte e fiorente come pensiamo. O per meglio dire come pensano i nostri marcatori somatici e quelli di molti giornalisti.



Desidero dirti tre cose prima di salutarti e darti appuntamento al prossimo articolo.

1) È un “segreto” che non devi rivelare a nessuno. Devi sapere che neanche il marchio Opel è tedesco. No, non sto esagerando! Fai una ricerca e scoprirai che è di proprietà della statunitense General Motors! (6)

2) Meno male che l’ambasciatore non porta pena, perché secondo me la Schiffer è bellissima.

3) Io comunque sono fiero di essere Italiano, anche se i marcatori somatici “degli altri” pensano che sia tutto pizza, fichi, mandolino, mafia e La Grande Bellezza… ma forse questa è anche una nostra responsabilità. Tuttavia l’Italia è anche il Manifesto del Marketing Etico e tante altre Qualità straordinarie e solide che noi spesso non citiamo per parlare di cose aleatorie, e chissà, grazie anche al tuo contributo, tutto questo, un giorno, uscirà dall’Italia, ma non per essere venduto.

Il cambiamento non avviene per delega. Fai la tua parte. Intelligentemente e senza combinare guai. Sii efficace!



Emmanuele Macaluso



PS. Un ringraziamento al mio amico Fabio De Carli per avermi parlato dello spot e per l’amicizia (soprattutto).



(1)




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(5)

da “Neuromarketing” di Martin Lindstrom, ed. Apogeo pag. 136

(6)

lunedì 17 febbraio 2014

IL MARKETING E’ UNA SCIENZA ( Marketing is a science)



ISSUE n° 35



(Tempo di lettura: 7 minuti)



Nel gennaio del 2008, l’American Marketing Association (AMA ndr.) ha modificato la definizione di marketing, mettendo in evidenza il suo impatto sociale e definendola come una scienza. (1)

Tra i membri del board che ha assunto questa importante decisione, oltre che CEO di importanti aziende globali e imprenditori erano presenti alcuni eminenti membri della comunità scientifica e accademica internazionale. (2)

Tuttavia, per la comunità tecnica internazionale, la modifica da parte dell’AMA della definizione di marketing era solo questione di tempo. All’atto pratico e operativo infatti, a tutti i livelli, il marketing era gestito già in modo scientifico, al punto che alcune tra le principali università mondiali avevano trasformato i corsi di marketing in corsi di “scienza del marketing”. (3)


Siamo infatti passati dall’uso della matematica e della statistica, attraverso la psicologia applicata, la RM (Ricerca Motivazionale ndr.), la sociologia, fino alle attuali evoluzioni con l’utilizzo di risonanze magnetiche e la conseguente nascita del neuromarketing, che spesso, più che un salto nel futuro, ha invece decretato e ufficializzato gli effetti di anni di strategie di marketing sui nostri cervelli. Ma questo, e mi riferisco al neuromarketing, sarà oggetto di un altro articolo.


Il marketing è una scienza complessa ed evolutiva, che oltre a muoversi in modo sinergico con altre scienze, si evolve anche attraverso i nuovi media e gli strumenti tecnici messi a disposizione dalla tecnologia.


In questo scenario complesso, vi sono anche fattori di natura sociale ed economica che hanno dato un impulso decisivo all’ascesa del marketing verso il suo attuale status di scienza.

In un periodo storico che sarà ricordato anche sotto l’aspetto economico e le contingenze negative, gli esperti di marketing hanno dovuto dare risposte precise e concrete in uno scenario in continua evoluzione. Risposte che dovevano poggiare su parametri ottenuti attraverso processi scientifici.


Semplificando: c’era bisogno di parametri il più possibile fissi in un ambiente che offriva troppe variabili. Parametri scientifici appunto, sui quali basare le attività tecniche e previsionali degli strateghi e degli uomini di marketing.


Ma quali sono gli aspetti correlati all’innalzamento allo status di scienza che cambiano?

Sono molti, ma è forse opportuno portare l’attenzione soprattutto su due di questi, che tra l’altro sono strettamente legati.

Il primo è il concetto di neutralità ed evoluzione della scienza e il secondo è di natura etica.

Ogni scienza è di fatto neutra ed evolutiva. Non esistono scienze con accezioni negative o positive, tuttavia non possiamo non prendere in considerazione il fatto che le applicazioni delle scienze possano produrre conseguenze sociali decisamente impattanti. Le applicazioni non vengono decise dalle scienze, e in realtà neppure dalle aziende, ma dagli uomini.

Ecco il collegamento tra i due punti.

Il collegamento tra la scienza e il suo impatto sociale e il piano etico ed umano.

E se ad impattare sul cosiddetto “mercato” (cioè su quell’insieme di individui che viene così comunemente denominato) sono le decisioni degli esperti, e quindi degli uomini (inteso come umanità senza distinzione di genere) di marketing, non possiamo non porci degli interrogativi circa le responsabilità che l’attuazione di determinate strategie e decisioni viene consegnata a chi quelle scelte le attua.


Tanto più quelle scelte ricadono su un ampio numero di persone, tanto più cresce la responsabilità etica e sociale. Curiosamente più si ha successo, più bisogna tener conto dei fattori etici.

Etica intesa come fattore di rilevanza sociale, nel senso più alto del termine e non come trend da inserire all’interno delle attività di CSR o peggio ancora di greenwashing.

L’innalzamento del marketing a rango di scienza quindi, deve essere per tutti i tecnici motivo di riflessione, e ancor di più di azione positiva e proattiva nei confronti del mercato. Ma anche questo fattore penso che meriti un articolo specifico, all’interno del quale si dovranno prendere in considerazione i principi del Manifesto del Marketing Etico.(4)


Quello che mi ha spinto a scrivere questo articolo, è la volontà di condividere anche in Italia la notizia che dà il titolo a questo articolo e di dimostrarlo scientificamente, stimolando il lettore a valutare insieme le potenziali conseguenze di questo status.

A questo si aggiunga la volontà di diffondere consapevolezza circa la concretezza del marketing e delle sue ricadute dirette nelle nostre vite, a discapito del comune pensare che vede in questa scienza qualcosa di aleatorio, creato solo per “fregare” (quello è il termine più comunemente usato) il consumatore.

Il marketing è una scienza, ed è neutra quindi. Forse un po’ di meditazione, di consapevolezza, potrebbe aiutarci a comprenderne appieno le potenzialità e le insidie come tecnici e come consumatori.





(2) Don Lehmann, Columbia University / Shelby Hunt, Texas Tech University / James Piltier, University of Wisconsin-Whitewater, Collegiate Chapters Council / Ric Sweeney, University of Cincinnati / Joan Treistman, M/A/R/C Research, Marketing Research Council / William Wilkie, University of Notre Dame / George Zinkhan, University of Georgia






Pubblicazioni e riferimenti:

- Anderson, Paul F. (1983), "Marketing, Scientific Progress, and Scientific Method," Journal of Marketing, 47 (Fall), 18-31.

- Converse Paul D. (1945), "The Development of a Science of Marketing," Journal of Marketing, 10 l~Ju1y), 14-23.

Edge, D. (1979), "Quantitative Measures of Communication in Science: A Critical Review," History of Science, 17, 102-34.

- Feyerabend, Paul (1968), "On the Improvement of the Sciences and the Arts, and the Possible Identity of the Two," Boston Studies in the Philosophy of Science, III. New York: Humanities Press, 387-415.

- Gilbert, Nigel G. (1976), "The Transformation of Research Findings into Scientific Knowledge," Social Studies of Science. 6 (September), 281-306.

- Knorr-Cetina, Karin D. and Michael Mulkay (1983), Science Observed: Perspectives on the Social Study of Science, Beverly Hills, CA: Sage.

- Lakatos, Imre (1978), The Methodology of Scientific Research Programmes: Philosophical Papers, Vol. 1. J. Worrall and G. Currie, eds., Cambridge: Cambridge University Press.

- O'Shaughnessy, John and Michael J. Ryan (1979), "Marketing, Science and Technology," in Conceptual and Theoretical Developments in Marketing, O. C. Ferrell, S. W. Brown, and C. W. Lamb, Jr., eds., Chicago: American Marketing, 577-89.

- Suppe, Frederick (1977), The Structure of Scientific Theories, 2nd ed. Urbana, 1L University of Illinois Press.

- Taylor, Weldon J. (1965), "Is Marketing a Science? Revisited," Journal of Marketing, 29 (July), 49-53.




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venerdì 31 gennaio 2014

ON LINE IL BILANCIO DI MISSIONE 2013 DI EMMANUELE MACALUSO

Ho pubblicato sul mio sito ufficiale, nella sezione "profile", il mio bilancio di missione per l'anno 2013.
Scaricalo gratuitamente a questo indirizzo:
http://www.emacaluso.com/images/DOWLOADS/BILANCIO%20DI%20MISSIONE%20Emmanuele%20Macaluso%20%202013%20marketing%20divulgazione%20e%20RP%20La%20Rivelazione.pdf

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Buona lettura, con preghiera di diffusione
Emmanuele Macaluso - www.emacaluso.com

martedì 7 gennaio 2014

LA STATISTICA E’ VERA MA NON LA DICE TUTTA…


Issue n° 34



(tempo di lettura 5 minuti)



E’ l’inizio dell’anno! Beh, questa non è una novità. Infatti i giorni “a cavallo” delle festività natalizie, oltre che di propositi, sono di solito ricchi anche di statistiche, che ci vengono offerte dai telegiornali e dai media, e che nonostante abbiano il potere di influire (spesso negativamente) sul nostro umore, spesso non hanno un gran senso. Ovviamente i media, facendo ormai il mero lavoro dei “passacarte di massa” non ci pensano minimamente ad analizzarli e a metterli a disposizione del pubblico in modo corretto e coerente.

Un paio di esempi:

Anche quest’anno c’è stata una diminuzione dei consumi di carne e pane, mentre vanno a gonfie vele i prodotti del comparto elettronico, tra cui tablet e smartphone.

Ma come si comprano più telefonini che carne?

Premettendo che trovo poco intelligente (per non dire di peggio), che la persona davanti a noi si lamenti del fatto che non arrivi a fine mese, per poi interrompere una conversazione (sempre con noi) e rispondere ad una chiamata impugnando un oggetto dalle basse performance e dal costo di circa 700 euro… la statistica di cui sopra, se ci pensi non ha un gran senso, non credi? Di fatto non tiene conto di un fattore economico e sociale che “dopa” i dati.

Quando vai a fare la spesa per comprare la carne (operazione che si svolge più volte all’anno), di solito non accedi al credito (o debito) al consumo. Di fatto non attivi un finanziamento, e quindi compi l’acquisto con la disponibilità che hai in tasca o sulla carta di credito in quel momento. Quando vai a comprare un tablet o uno smartphone è ormai una consuetudine rateizzare il debito. Operazione che tra l’altro fa comodo a quasi tutti i protagonisti della transazione. La casa produttrice attraverso il rivenditore vende il prodotto, l’agenzia finanziaria fa il finanziamento, guadagnando sugli interessi, o nel caso non ci fossero sulla spesa di apertura pratica e sul fatto che si viene in possesso dei dati sensibili del nuovo contraente, e infine il cliente, che si indebita acquistando un oggetto che difficilmente potrebbe pagare in contanti. Curioso il fatto che spesso il debito contratto duri di più dell’oggetto acquistato… ma questo è un altro discorso.

Ovviamente, questa dinamica, anche se con qualche piccola variante, vale anche per i prodotti “dati” o “regalati” in cambio di 2 anni di fedeltà (e canone) con lo stesso operatore telefonico.

Si evince quindi, che nel primo caso, compri se te lo puoi permettere, nel secondo invece compri anche se non puoi, e poco importa se anche per  i “maniaci” della privacy si debbano dare oltre al denaro, informazioni e geolocalizzazione pubblica ogni volta che si accede e si utilizza un social network.

In più la carne e il pane si comprano più spesso, e il rapporto prodotto prezzo ha un senso più umano… meno legato al brand.



- Il secondo esempio è legato ad un altro tormentone delle vacanze di fine anno: il cinema.

La cosiddetta classifica dei film più visti. Su Wikipedia è disponibile la classifica degli incassi dei film a livello mondiale. (1)

La prima cosa che colpisce è che i primi due film sono di James Cameron. Il primo è Avatar (2009), con  2.782.275.172 di dollari e il secondo è Titanic (1997) con  2.186.772.302 di dollari.

La seconda cosa che colpisce è che Titanic è l’unico film tra i primi dieci del secolo (o del millennio) scorso.

Ma cosa è successo in quel decennio? In un continente abbastanza periferico dell’utenza cinematografica, cioè l’Europa, nel frattempo è cambiata la valuta, e in più, prendendo sempre  in considerazione i primi due film della classifica, sono successe un altro paio di cosette. In primis ci sono stati 12 anni di inflazione e di innalzamento del costo dei biglietti, e in seconda battuta è stato “commercializzato” il 3 D.

Un biglietto di Titanic quanto costava? 7/8 mila lire? L’equivalente di circa 4 euro? Esageriamo, facciamo 5! Così ti semplifico il calcolo!

Quanto costa un biglietto per vedere un film in 3 D? 9 Euro?

Vuoi vedere che, calcolatrice alla mano, Avatar non è stato quel fenomeno culturale che ci hanno voluto vendere? Magari è stato visto al cinema da poco più della metà di quelli che hanno visto Titanic?

E’ vero anche che nel frattempo è aumentato anche il numero di download illegali, ma le performance volumetriche in termini di “biglietti staccati”, per quanto straordinaria, non è minimamente paragonabile al film del ’97.

Per chiudere, voglio farti una sola domanda? Quante volte hai analizzato davvero una statistica prima  che questa ricadesse sul tuo umore?

Bene, ora ti ho dato lo spunto per farlo. Chissà, magari potresti segnalarmi altre cose interessanti e potremmo condividerle dalle colonne di questo blog.

E probabilmente potresti vivere più serenamente, senza incorrere in quella strategia della manipolazione della massa attraverso i media scritta da Noam Chomsky e di cui avevo parlato in questo post http://emacaluso.blogspot.it/2012/03/tutto-si-ripete-perche-tutto-si-conosce.html



Io ti segnalo infine, che The Marketing Blog è ora anche su Facebook, e che puoi mettere il tuo “mi piace” alla pagina e seguirmi in real time anche su quella piattaforma.




Come sempre, ogni tuo suggerimento, e commento è gradito e meriterà una mia risposta.

Ci “leggiamo” il prossimo mese, con un articolo che ti anticipo sarà destinato a creare molto scalpore nella comunità scientifica italiana.

A proposito! È l’inizio dell’anno. Buon 2014!



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