giovedì 10 novembre 2016

ANALISI DELLA CRISIS COMMUNICATION DELLA MISSIONE EXOMARS 2016

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul blog TheCOSMOBSERVER il 28 ottobre 2016, e viene ripreso su The Marketing Blog Italia.
La prima immagine in alta definizione dei resti del lander Schiaparelli sul suolo marziano 
(fonte: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona Description)



Abbiamo voluto far passare qualche giorno dallo schianto del lander Schiaparelli sulla superficie marziana, prima di scrivere e pubblicare questo articolo. Abbiamo cercato di documentarci sull’accaduto attraverso attività formali e informali. Ci siamo districati tra i “soliti” commenti sui social e quelli discordanti che, in modo più o meno ufficiale, sono apparsi sulla stampa.
In primis, desideriamo formalizzare che per noi la scienza e l’esplorazione spaziale rappresentano fattori strategici e sociali importanti, che devono continuare, portando benefici condivisi sul pianeta Terra.
Tuttavia, da divulgatori e comunicatori professionisti, abbiamo notato una serie di errori dal punto di vista della crisis communication che erano difficilmente preventivabili, visti gli attori protagonisti dell’impresa e l’importanza scientifica ed economica del progetto.

La missione ExoMars 2016
Il viaggio della missione ExoMars è iniziato il 14 marzo 2016 dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan. La missione prevede l’invio su Marte di una “sonda madre” denominata “TGO” (Trace Gas Orbiter) e di un lander denominato “Schiaparelli” (577 Kg) che aveva il compito di raggiungere il suolo marziano per svolgere alcuni esperimenti scientifici.
La missione è frutto della collaborazione tra ESA (Agenzia Spaziale Europea) e di ROSCOSMOS (Agenzia Spaziale Russa), ha un costo di circa 1 miliardo di euro e vede l’Italia come maggiore referente sia in termini tecnologico-scientifici che di budget, con un investmento di circa 340 milioni di euro (circa il 35% dell’impegno finanziario). La missione è seguita dal team dell’ESA nel Centro Europeo di Operazioni Spaziali (ESOC) a Darmstadt, Germania.
Dopo circa sette mesi di viaggio, il 19 ottobre 2016, la sonda madre affronta con successo la difficile manovra d’inserimento nell’orbita marziana. Per comprenderne la delicatezza di questo momento, si pensi che questa manovra è durata ben 139 minuti. (1)
A questo punto entra in scena il lander Schiaparelli, separatosi dal TGO 3 giorni prima, il 16 ottobre, e che sempre il 19 dello stesso mese, doveva affrontare la sua difficile discesa verso Marte. Una vera e propria cavalcata di 6 minuti, resa ancora più difficile da una violenta tempesta marziana. Una discesa che secondo l’ESA, Schiaparelli era programmato ad eseguire in autonomia, attraverso una sequenza automatica di atterraggio. La procedura prevedeva l’apertura del paracadute, il rilascio dello scudo termico frontale (tra gli 11 e i 7 Km di altezza), seguito da una frenata mediante retrorazzi che da una quota di circa 1.100 metri sarebbe terminata a circa 2 metri di altezza. L’ammartaggio sarebbe avvenuto con una piccola caduta, con il lander ammortizzato da una struttura deformabile. Una procedura molto complessa.
Non avendo a disposizione dati ufficiali, e non potendo avere ancora oggi, una visione chiara dell’accaduto – da qui la redazione di questo articolo – concludiamo questa parte dedicata al racconto della missione, dando l’unico dato di fatto che possiamo divulgare con sicurezza. Il lander Schiaparelli si è schiantato sul suolo marziano. Informazione resa pubblica dall’ESA già in giornata, e visualizzata attraverso delle fotografie del sito dell’impatto. La prima (vedi foto) in alta definizione, scattata dalla sonda Mro (Mars Reconnaissance Orbiter) della Nasa, è del 27 ottobre.(2)

La Crisis Communication
Cercando informazioni sull’accaduto, è evidente che alcune cose non hanno funzionato dal punto di vista della comunicazione.
Le ragioni tecniche dello schianto hanno seguito strade diverse con l’andare avanti dei giorni e sono state diramate seguendo la ormai solita necessità di dare un’informazione veloce a discapito dell’esattezza. Si è passati dallo scarso periodo di accensione dei retrorazzi all’instabilità del paracadute che avrebbe portato allo spegnimento del computer di bordo. (3)
Premesso che sia verosimile che in una procedura così complessa possa essere un insieme di fattori a determinare un unico risultato, nel bene o nel male, perché fornire queste versioni in momenti diversi, dando adito ad una divulgazione scorretta? Sapendo che così facendo, le informazioni potrebbero essere anche “selezionate e spettacolarizzate”?
Pur senza entrare nel tecnico della missione, ci sono state divulgazioni di natura più generale con un potenziale negativo sulla missione decisamente superiori, perché più facili da massificare e acquisire dall’opinione pubblica.
In un articolo del 21 ottobre (4), Roberto Battiston (Presidente dell’ASIAgenzia Spaziale Italiana) avrebbe dichiarato che la sonda ha inviato il 95% dei dati che avrebbe dovuto inviarci. In un altro articolo del 25 ottobre (4 giorni dopo), Andrea Accomazzo (direttore delle operazioni planetarie dell’ESA), avrebbe dichiarato che il 90% del lavoro è stato corretto. E’ vero che il parametro di base (dati inviati vs percentuale di lavoro completato) è simile ma non identico. Ma non si può lasciare, in un momento delicato come questo, adito ad utilizzi strumentali di questo tipo. Le percentuali sono un fattore comunicativo importante, che può influenzare l’opinione pubblica – e non solo. Il 5% di una missione da un miliardo è 50 milioni di euro. Poco? Direi di no, visto che rappresenta circa un sesto di quello che manca per dichiarare operativa la successiva missione: ExoMars 2020.
La sensazione (e non solo quella) è che non sia stata concordata una linea comune di comunicazione, con una precisa scelta delle informazioni da divulgare e la scelta di referenti. Sono saltati i protocolli. È scattata la corsa al contatto all’interno delle aziende e istituzioni da parte dei giornalisti, con indiscrezioni e informazioni date in modo disordinato, personalizzato e… ammettiamolo, a dir poco “garibaldino”. Non c’è stato, da parte del gestore della comunicazione un controllo completo delle informazioni, la capacità di gestire la pressione mediatica (sempre molto più forte in caso di insuccesso che di successo). Si è sentita l’esigenza di dover dare subito dei dati, anche se parziali e potenzialmente inesatti. Dal punto di vista tecnico si è tralasciato un assist che avrebbe ribaltato completamente la partita comunicativa a favore dell’ESA, ovvero: le tempistiche tecniche di trasmissione dei dati da Marte e la conseguente “laboriosa” e “scrupolosa” analisi da parte dei tecnici. Alla quale va aggiunta la necessità di semplificare i risultati a favore dell’opinione pubblica e dei contribuenti, veri azionisti di maggioranza del progetto.
Sarebbe bastata questa dichiarazione per dare tempo di governare il processo comunicativo, coordinarlo, diminuendo il numero delle informazioni errate o sensibli attraverso una selezione dei contenuti, e attuare una strategia di crisis communication. L’ABC insomma.
Un’attività comunicativa che dovrebbe essere fatta da professionisti specializzati in comunicazione e non – ce lo perdoneranno – da ingegneri. Quello è un altro mestiere.
A questo si aggiunga che, in una missione così complessa, la strategia di crisis communication dovrebbe già essere molto “ben impostata” a priori e non solo imbastita. Qualora sia stata imbastita.
Per un fattore comunicativo, secondo il quale gli accadimenti negativi colpiscono e vengono ricordati molto più dei positivi, bisognerebbe dare maggiore attenzione a questo “dettaglio” del saper comunicare correttamente, anche e soprattutto sotto pressione.
La missione ExoMars era stata presa di esempio per la “tecnologia e l’eccellenza italiana” e ha portato un danno d’immagine difficilmente quantificabile in questo momento, ma che sicuramente c’è per il Paese. Qual è la strategia per ovviare a questo? Non possiamo prendere i benefit di un brand e lasciare i cocci sul tavolo facendo finta che non ci siano se le cose vanno male, portando l’attenzione sul liquido rimasto nel bicchiere crepato o rotto. Non è questa la comunicazione e divulgazione efficace che serve ad un progetto di eccellenza globale. Ci sono case history di successo che vanno decisamente in altre direzioni.
Per qualcuno è giusto prendere in considerazione ciò che è andato bene cercando di minimizzare (o non citare) quello che non ha funzionato, ma non basta. Anche la scelta degli esempi in divulgazione è stata discutibile in questo caso.
Ad esempio, dire che «Poteva andare meglio, avremmo potuto avere la ciliegina, ma per ora ci accontentiamo della torta» è errato. Nello stereotipo della torta, la ciliegina ci deve essere sempre, e rappresenta il punto in cui si focalizza l’attenzione. Il fatto che manchi, rappresenta un fattore negativo di principio molto più ampio delle sue dimensioni sulla torta. Pessima scelta.

L’importanza della corretta divulgazione e comunicazione nella scienza
L’esplorazione spaziale e verso Marte deve continuare. Purtroppo il perché è ancora sconosciuto alla maggior parte della popolazione contribuente. Tutto si basa sulla sfida tecnologia, il superamento delle barriere e altre cose da “motivatore con microfono ad archetto”. Si rischia di commettere lo stesso errore fatto con il progetto Apollo e che ha portato, anche dietro “spinta” dell’opinione pubblica, ad interrompere il programma. Anche in quel caso: il superamento dei limiti, la sfida dell’occidente contro la Russia, le motivazioni politiche e di orgoglio nazionale ecc.
In un libro che abbiamo recensito (5) dal titolo “Il ritorno sulla Luna” di Antonio Lo Campo, c’è un’intera sezione che parla dei benefici tecnologici della missione Apollo, e delle relative ricadute positive dal punto di vista sociale. Il solo programma Apollo ha portato alla registrazione di circa 160.000 brevetti, molti dei quali sono di uso comune e quotidiano. Quanta di quell’opinione pubblica che ha contribuito all’annullamento di Apollo lo sa? Quanti sanno perché è stato progettato e prodotto il velcro? Quanti sanno da dove viene la tecnologia della fotocamera del proprio smartphone?
Eppure il peso decisionale legato ad interessi politici di massa è crescente. Oggi “il popolo” non è più un gruppo di persone da chiamare alle urne ogni 4 o 5 anni, ma parla, comunica, si organizza in gruppi di opinione, fa opinione, e talvolta pontifica senza ragione di causa e preparazione, coinvolgendo però migliaia di altri soggetti. Lasciamo stare? Non ce ne preoccupiamo? Facciamo finta di niente?
Se andate a vedere i volumi social e di visualizzazione delle pagine inserite nelle note di questo articolo, noterete uno squilibrio enorme tra le poche interazioni della pagina ESA e quelle dei media. Senza calcolare l’ironia e la strumentalizzazione condivisa migliaia di volte dagli utenti social. Fare divulgazione non vuol dire immettere dati tecnici e raccontarli, ma semplificarli e “portarli davanti agli occhi” della platea.
Pubblicarli non basta. Forse bisognerebbe porsi delle domande e rispondere con azioni professionali e professionistiche. L’ESA deve diventare l’opinion leader della cultura scientifica e spaziale non il diramatore di comunicati stampa e di pagine web ufficiali poco lette.
Qualsiasi ufficio stampa privato si è dovuto evolvere, differenziando i propri canali e le proprie attività per far arrivare il proprio messaggio. Da ufficio stampa si è dovuto evolvere in ufficio per le relazioni pubbliche, imparando a creare e gestire reputazione e popolarità su tutti i media, soprattutto quelli scelti dai lettori e non quelli legati al proprio confort di comunicazione.
Speriamo che quanto sia successo a Schiaparelli non sia di stimolo solo per l’apparato ingegneristico della missione, ma anche per quello comunicativo. La posta in palio è molto alta. Noi non possiamo che augurarcelo e mettere a disposizione le nostre esperienze e le nostre osservazioni tecniche, nella speranza possano stimolare chi di dovere.

Emmanuele Macaluso (6)
Link originale dell'articolo:
http://thecosmobserver.blogspot.it/2016/10/astronautica-analisi-della-crisis.html



Note:











Note sull’autore

Emmanuele Macaluso è un esperto di marketing e comunicazione, saggista e divulgatore scientifico.

Affascinato fin dall’infanzia dal cosmo, ha frequentato diversi corsi di astronomia, astrofisica e astronautica, tenuti da alcuni dei massimi esperti italiani di queste discipline scientifiche.

Ha fondato TheCosmobserver nel 2013 con l’intento di “dare voce” ai protagonisti del cosmo “avvicinandoli” al grande pubblico. Ha intervistato astronomi, astrofisici e astronauti, e dal 2015 collabora con l’astronauta Maurizio Cheli gestendo le sue Relazioni Pubbliche digitali.

È l’autore del Manifesto del Marketing Etico (www.manifestodelmarketingetico.org) e i suoi saggi sul marketing hanno vinto premi e riconoscimenti.

martedì 28 giugno 2016

PRESENTATA LA VERSIONE SEMPLIFICATA DEL MANIFESTO DEL MARKETING ETICO PER I CONSUMATORI SCRITTA DA EMMANUELE MACALUSO




È stata presentata, nel corso di una conferenza stampa svoltasi a Torino, la versione semplificata del Manifesto del Marketing Etico dedicata ai consumatori.

A presentare il documento è stato lo stesso autore, l’esperto di marketing e divulgatore Emmanuele Macaluso, già autore della prima versione ufficiale del Manifesto del Marketing Etico presentata nel 2011.

Autentico “papà” dei temi dell’etica applicati al marketing in Italia.

Il Manifesto del Marketing Etico è un documento formale composto da 11 articoli. Attraverso gli articoli del Manifesto, il suo autore, condivide attività e principi di buona prassi per mantenere un corretto equilibrio nel rapporto tra le aziende e quell’insieme di persone che viene chiamato – in modo impersonale – “mercato”.



Il documento è rivolto ai tecnici quindi – esperti di marketing, comunicazione, docenti di queste materie e giornalisti – e fin dalla sua prima versione risultava chiaro dal punto di vista tecnico, ma poco leggibile per il comune cittadino e consumatore.

Per questa ragione, Emmanuele Macaluso, ha sviluppato una versione semplificata e non tecnica, attraverso la quale vuole rendere i principi che ne sono alla base, facilmente comprensibile anche alle persone non “addette ai lavori”.

Un’ennesima attività di divulgazione che si unisce ai saggi, agli incontri di divulgazione sul territorio e al programma radiofonico "Fuori la Verità" (In onda su RadioFlash FM 97,6).

“L’etica è un valore imprescindibile nella nostra era – ha dichiarato Emmanuele Macaluso nel corso della conferenza, che ha così continuato – La totale mancanza di principi etici, o peggio ancora l’utilizzo dell’etica come valore comunicativo, ma non strategico e operativo, ha portato ad uno squilibrio tra le aziende e il mercato, con ricadute negative nell’economia sociale e reale non solo di questo Paese. Attraverso la pubblicazione di questo documento semplificato, desidero condividere e dare nuovi strumenti al consumatore. Se un esperto di marketing chiede ai suoi colleghi di seguire determinati valori e attività, è implicito che quei valori non vengano seguiti e attuati. Questo è pericoloso, perché l’intreccio tra economia, politica e società è oggi molto più forte che nel passato”.



La prima versione della versione semplificata del Manifesto del Marketing Etico è stata pubblicata all’interno del saggio “Dirty Marketing” (Golem Edizioni) dello stesso Macaluso, e da oggi è disponibile per il download gratuito sul sito ufficiale del Manifesto all’indirizzo www.manifestodelmarketingetico.org nella sezione “download”.



Di seguito gli 11 articoli del MANIFESTO DEL MARKETING ETICO nella sua versione semplificata a favore dei consumatori:



MANIFESTO DEL MARKETING ETICO

di Emmanuele Macaluso



- versione semplificata -





       Torino, luglio 2014



Articolo 1

L’etica è una risorsa importante per tutti e deve essere applicata attraverso tutte le conoscenze acquisite nei confronti delle nostre aziende, dei nostri clienti e del mercato.



Articolo 2

Non creare e immettere nel mercato falsi bisogni da lenire attraverso i nostri prodotti e i prodotti dei nostri clienti.



Articolo 3

Ogni scelta non ricade solo su chi la compie. Questa consapevolezza della responsabilità sociale del nostro lavoro deve essere alla base delle nostre scelte.



Articolo 4

L’utilizzo di comunicazioni mendaci non porta solo al profitto, ma anche ad una veloce perdita della credibilità. Scegliere l’utilizzo di quel tipo di linea comunicativa, sebbene possa essere l’opzione più semplice, mette in evidenza l’incapacità di ottenere gli stessi risultati attraverso metodi e scelte di natura tecnica e etica.



Articolo 5

Non vendere soltanto un servizio, ma i risultati.
Perché è per raggiungere i risultati che un tecnico viene scelto.



Articolo 6

È importante utilizzare i bilanci di missione e quelli sociali per comunicare il reale valore dell’operato dell’azienda e dei clienti, in modo riscontrabile, fornendo prove concrete.



Articolo 7

Mettersi nelle condizioni di poter mostrare in ogni momento il proprio operato nei confronti dei clienti, degli organi di controllo preposti e del mercato, fornendo dati reali e riscontrabili. La trasparenza è un valore che fa la differenza.



Articolo 8

Fare CSR e non Greenwashing.



Articolo 9

È necessario condividere il proprio metodo di lavoro e le conoscenze con i proprio allievi, al fine di metterli  nelle condizioni di fare meglio di noi, per il loro bene, quello dei clienti e quello del mercato.



Articolo 10

Non dimenticare che dietro la parola “mercato” c’è sempre un insieme di persone



Articolo 11

Con questo documento non si vogliono porre mere limitazioni, ma si desidera condividere responsabilità. Questo documento è una reale opportunità di dimostrare il valore e la differenza tra un vero tecnico del marketing e della comunicazione, e coloro che, inserendosi senza competenze, limitano la credibilità dei veri professionisti.







Emmanuele Macaluso





La prima versione di questa versione semplicata del Manifesto del Marketing Etico, è stata redatta nel luglio 2014 e pubblicata all’interno del libro “Dirty Marketing”, edito da Golem Edizioni e uscito nell’ottobre dello stesso anno. Questa versione rappresenta un’evoluzione di quel documento ed è stato redatto nel mese di giugno 2016.

giovedì 21 aprile 2016

COMUNICATO STAMPA: NASCE SMPI - SPORT MARKETING PROJECT ITALIA




Che il marketing nello sport  sia uno straordinario veicolo di promozione e di business è cosa assodata. Nasce una nuova realtà che si prefigge l’obiettivo di governare molti settori che riguardano il marketing sportivo. Da oggi l’associazione torinese Factory Performance entra nel mondo del marketing sportivo con una divisione specializzata chiamata SMPI – Sport Marketing Project Management.
Alla guida di SMPI è stato scelto Emmanuele Macaluso, ex atleta professionista ed esperto di marketing, già al coordinamento della press division di Factory Performance.

SMPI si propone sia ai singoli atleti che alle società sportive e ai circoli. Opererà in ambito di relazioni pubbliche, comunicazione, reputation management e gestione delle attività media e stampa. A queste attività si aggiungono quelle di consulenza tecnica e di marketing legata al management.
Tutti i servizi offerti sono disponibili a questo indirizzo http://www.emacaluso.com/smpi.htm

Per raggiungere gli obiettivi, SMPI – Sport Marketing Project Italia si avvarrà di partner di primo piano a livello nazionale che saranno presentati nei prossimi giorni a mezzo stampa.

SMPI - SPORT MARKETING PROJECT ITALIA
Powered by Factory Performance

lunedì 29 febbraio 2016

DOMANDE E RISPOSTE SUL GOLF – L’IMPORTANZA DEL MARKETING E DEL MANAGEMENT NELLO SPORT PIU’ BELLO DEL MONDO



Issue n° 43



(Tempo di lettura: 6 minuti)



Il successo di un articolo non è facilmente preventivabile. Dipende dai lettori. Quando un paio di settimane fa ho scritto quello nel quale spiegavo la strategia di marketing dietro il successo della golfista Paige Spiranac, non avrei mai immaginato quello che è successo. Il post di lancio sui social ha raggiunto numeri notevoli, la stampa generalista ha “ripreso” – come si dice in gergo – l’articolo e ho ricevuto molti messaggi in privato. Mi chiedevano di dare una mia visione del momento attuale del golf in Italia. A mandarmi questi messaggi non erano solo i miei amici golfisti e addetti ai lavori, ma anche semplici aspiranti golfisti o amanti dello sport in genere.

Questo a riprova che nei confronti di questo meraviglioso sport c’è una grande “simpatia” e curiosità.

Da golfista, ho rispolverato la mia rubrica telefonica e ho chiamato alcuni miei amici che gravitano, a vario titolo, attorno al mondo dei green. Volevo ascoltare i cosiddetti addetti ai lavori. Volevo capire.

Chi mi conosce, sa bene che non sono persona che apre bocca quando non conosce l’argomento.

Scrivo quindi questo articolo in qualità di esperto di marketing, ex atleta professionista, giocatore di golf e conoscente di molti operatori del settore.

La parola che ho sentito pronunciare più spesso è “crisi”. Tanto per cambiare!

È indubbio che la gestione economica di un circolo sia difficoltosa. I costi fissi, basta fermarsi un attimo a pensare,  sono notevoli.



È altresì indubbio che ci siano però due fattori che non possiamo ignorare.



Il primo: la parola “crisi” viene spesso utilizzata a sproposito. Non si tiene conto del fatto che la crisi sia strettamente collegata al concetto di tempo. Se in questo momento io avessi una crisi respiratoria, e non passasse nel giro di qualche minuto, i miei parenti ne avrebbero un forte dispiacere. Almeno credo.

Quando un fattore negativo persiste, si deve parlare di fattore patologico, non di crisi. Questa crisi (vera o presunta) dura da troppo tempo per essere tale.



Il secondo: è un fattore di approccio al problema. Di natura culturale e psicologica. Quando mi parlano di “crisi”, mi sottolineano sempre cosa non va, e si fermano.

Mai una soluzione o un’azione!

Dei problemi sanno tutto, sono degli esperti, tuttavia quando finiscono di parlarne cala un silenzio imbarazzante e surreale. Come se la soluzione dovesse venire dal cielo o comunque sempre da qualcun altro. È come se chi facesse parte del problema, automaticamente si sentisse escluso dalla soluzione pur facendo parte di quell’ambiente.



Dare una soluzione a tutto questo non è semplice. Tutto sta nella ricerca di un equilibrio tra strategie di co-marketing (turistico e sportivo), management aziendale, event management, reputation management e soprattutto un cambio di mentalità ed approccio.

Tra i maestri di golf ormai si è già fatto strada il concetto di mental coaching. Peccato che gli stessi professionisti e i gestori dei circoli, il cambiamento mentale non lo attuino, e continuano a commettere errori che sono il frutto di abitudini e approcci sbagliati, che con il tempo si sono trasformati in metodo.



È necessario imparare a ragionare per macro sistemi. Inserendo il circolo e le proprie strategie in ambiti più ampi.

- Bisogna inserire il circolo all’interno di un contesto turistico di incoming attivo (marketing turistico)

- Bisogna lavorare sulla visibilità e sulla reputazione del circolo, affinché il pubblico possa entrare in contatto, conoscere e scegliere di far parte di quel golf club. Bisogna rendere il socio fiero di far parte del proprio circolo e del suo brand, facendo leva sullo spirito di appartenenza. Che non è da confondere con la cena natalizia! Mi riferisco a quell’esperienza esclusiva che deve vivere entrando quotidianamente nel suo golf club. Bisogna educarlo all’etichetta e fare in modo che questa disciplina diventi quello che cerca e che per lui fa la differenza. Sempre più spesso i telefonini suonano nelle club houses e sui campi, con conversazioni che diventano di dominio pubblico - per usare un eufemismo.

Domanda: ma devo pagare una quota da migliaia di euro anche per questo?

Bisogna in altre parole lavorare di RP, di reputation management e comunicazione.

- Bisogna avere una strategia di management corretta da attuare ogni giorno. Sono le buone prassi aziendali a dover diventare delle abitudini. I vecchi schemi mentali e tecnici, insieme alle vecchie abitudini, non permettono ai circoli di poter creare delle nuove opportunità di business. Poca attenzione verso i potenziali stakeholders, gli sponsor e i potenziali investitori, limitano le grandi potenzialità che un circolo ha di attrarre flussi economici e finanziari. In altre parole serve una strategia di management aziendale.

- Bisogna creare eventi, degni di questo nome. In grado di attrarre sportivi e persone che altrimenti non conoscerebbero le nostre realtà. Bisogna capire che un circolo può far parte di un sistema di interesse ampio e variegato, che aspetta solo di essere conquistato.

- Bisogna imparare a fare la differenza. Un golfista sa già cosa aspettarsi da un golf club quando lo visita la prima volta. Questo è buono. È rassicurante. Ma basta? Dobbiamo fare in modo che quel golfista ci aiuti a creare la nostra credibilità, la nostra reputazione positiva. Basta poco a volte per fare la differenza. Una buona comunicazione, la giusta professionalità del personale, la giusta cura per i dettagli.

Il logo ad esempio, spesso è solo un feticcio dell’estabilishment del circolo, o al contrario una cosa che viene vista come “inutile”. Il logo è il marchio distintivo che i soci e gli ospiti devono ricordare con orgoglio quando pensano alla loro esperienza di gioco e soggiorno.



Come si vede, attuare tutto questo non è facile. E non si può pensare che qualcosa di così complesso possa essere fatto “con il fai da te”, citando un vecchio spot di un noto tour operator che terminava con un “ahi ahi ahi!”.

È necessario coinvolgere professionisti delle suddette discipline.



Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è stato sentire frasi del tipo:«C’è crisi, non ce lo possiamo permettere». Ma scusate… ma il medico voi lo chiamate quando state bene? O lo chiamate per gestire la crisi e fare in modo che non diventi una patologia o un’agonia?



In questo contesto, vi è un’altra anomalia che non riguarda solo i circoli, ma anche i maestri e i professionisti. Ho parlato con alcuni di questi, e ho scoperto una cosa che mi ha lasciato perplesso. Per usare un altro eufemismo.

Non si vedono come degli atleti professionisti. (!)

Hanno tutti il poster di Rory McIlroy e Tiger Woods nel pro shop, ma non fanno nulla per avere i loro benefit. Si accontentano di avere “sponsorizzazioni” di aziende che gli cedono del materiale in usufrutto e si sentono realizzati. Quelli che pensano di essere più accorti inseriscono la parola “academy” accanto al cognome e con una pagina facebook con 200 o 300 “mi piace” credono di aver raggiunto un buon risultato.

Nell’articolo che “mi ha portato” a scrivere questo (1), ho spiegato come ad attirare le opportunità di business e gli sponsor ormai siano (soprattutto) i volumi, la visibilità e la reputazione nel mondo del management sportivo applicato agli atleti. Dovremmo già essere oltre questo concetto, non dovrei essere qui a scriverlo; ancora e ancor di più il lettore non dovrebbe leggerlo, ma avrebbe già dovuto interiorizzarlo. Che piaccia o no, una cosa: o funziona, o non funziona. O porta risultati, o alimenta le convinzioni, e queste non portano i flussi e i volumi che si potrebbero avere.

Alla domanda: «Perché gli sponsor veri dovrebbero darci i soldi? »

 C’è un’unica risposta: Per la visibilità che puoi dargli e per il valore percepito positivo collegato alla tua immagine e al tuo lavoro. Non per la “stima” dei colleghi (che comunque ci dovrebbe essere) e per i pochi contatti a disposizione. L’audience è un elemento semplice che esiste da molto tempo ormai. Non vale solo per gli altri. E non sono sempre e solo gli altri ad avere qualcosa da dimostrare. Al centro della mente e degli obiettivi di un atleta, pretendo il miglioramento dei propri limiti.



Ora, credo sia giusto terminare questo articolo con una domanda. La domanda che tutti si pongono.

Possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione? La risposta è ovvia: SI. Ma bisogna cambiare mentalità e abitudini.



È necessario che ognuno faccia il proprio lavoro e che per quello che non si conosce si chiamino professionisti in grado di fornire risultati, ancor più che servizi. Il fai da te non solo non basta, ma come le convinzioni, rischia di essere pericoloso. Non solo per le persone, ma anche per uno sport che merita di essere amato e di essere praticato. Accettate la sfida! Io sono pronto a farlo! E voi? Nel frattempo, mentre ci pensate, prendo la mia sacca e vado al circolo.



Emmanuele Macaluso



Note:

(1) link all’articolo dedicato a Paige Spiranac e alla sua strategia di personal branding e marketing




Chi è Emmanuele Macaluso.

Emmanuele Macaluso è un esperto di marketing e Relazioni Pubbliche. Ex atleta professionista, ha vinto numerosi titoli nel lancio del giavellotto sotto le insegne  della Sisport Fiat di Torino, mantenendo il diretto controllo sulle sue attività di  immagine, responsabilità sociale e con gli sponsor e i media. Terminata la sua carriera agonistica, ha iniziato il suo approccio al golf.

Ha collaborato professionalmente in diversi eventi sportivi, tra i quali citiamo i XX Giochi Olimpici Invernali di “Torino 2006” che lo hanno visto impegnato in qualità di N.O.C. Assistant aggregato al C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). È stato volontario durante il “BMW Italian Open” del 2012 al Royal Park I Roveri di Torino.

Formatosi come esperto marketing e comunicazione, con una specializzazione didattica in turismo, dal 2003 al 2006 ha fondato e diretto “Turincoming”, un network turistico di eccellenza e lusso specializzato in strategie di incoming nell’area piemontese.

È stato docente per decine di enti di formazione e consulente per diversi enti privati nazionali e internazionali.

Autore del Manifesto del Marketing Etico, ha scritto numerosi articoli specialistici legati al marketing, alla comunicazione, alla csr e vanta 2 saggi pubblicati (entrambi inseriti dall’Unesco nella propria biblioteca).

Attualmente vive a Torino.



Riconoscimenti e premi

- Novembre 2015: Il saggio "Dirty Marketing" edito da Golem Edizioni viene insignito del Marchio della Microeditoria di Qualità 2015 per la sezione saggistica.

- Novembre 2014: Il saggio "Dirty Marketing" edito da Golem Edizioni viene inserito all'interno della biblioteca del Centro Unesco di Torino.

- Luglio 2014: Il saggio "Bende Invisibili" edito da Marco Valerio Edizioni viene inserito all'interno della biblioteca del Centro Unesco di Torino.

- Novembre 2009: Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferisce al "Comitato Giù le Mani dai Bambini Onlus" la Targa d'Argento per valore civile nel periodo di coordinamento della segreteria nazionale dell'Ente.

- Aprile 2007: Riconoscimento formale rilasciato per motivi sociali e sportivi dalla Circoscrizione 9 della Città di Torino.

- Settembre 2003: Diviene il più giovane docente di "Tecnica Turistica Applicata e Marketing" d'Italia ad essere impiegato in un Istituto Statale.



Informazioni complete sul sito web all’indirizzo www.emacaluso.com