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mercoledì 4 aprile 2018

DATAGATE FACEBOOK / CAMBRIDGE ANALYTICA TRA PRIVACY, CYBERSECURITY E MARKETING


Il caso Facebook / Cambridge Analytica ha apparentemente riportato l’attenzione sul tema della privacy e della gestione dei dati sensibili. Ma non a tutti i livelli.

Mentre la stampa generalista e di settore rilancia informazioni sempre più sconcertanti sulla gestione (e soprattutto l’utilizzo) delle informazioni acquisite attraverso i social, le istituzioni, gli investitori e i competitor del social americano si interrogano sui possibili scenari futuri.

Le strategie di crisis management e crisis communication di Facebook non hanno convinto i mercati e le istituzioni che – inermi fino a qualche giorno fa – adesso si prodigano in attivissime richieste di chiarimenti da parte dei vertici delle aziende interessate dallo “scandalo”. In tutto questo, Cambridge Analytica, secondo quanto traspare, fa ostruzionismo e non consegna informazioni utili circa la sua reale attività.

In questo articolo non analizzeremo la disastrosa strategia di gestione della crisi di Facebook, ma desidero porre l’attenzione sul grande assente di questa questione: il pubblico. Ovvero coloro che hanno “donato” i dati di cui sopra.

Al di là di fughe “eccellenti” dal social, come ad esempio quella di Elon Musk che ha messo in stand-by le pagine di Tesla e SpaceX, navigando su Facebook non si vedono grandi differenze nell’utilizzo da parte degli utenti. I veri protagonisti inconsapevoli di questo “Datagate”.
Mentre su Twitter è diventato virale l’hashtag #deletefacebook (“cancella facebook”, più traducibile in “abbandona facebook”), suona anomala la dichiarazione di Brian Acton, il fondatore di Whatsapp, che ha venduto proprio a Zuckerberg nel 2014 la propria app, secondo cui sarebbe arrivato il momento di abbandonare Facebook. Un fuggi fuggi generale, che però non vede tra i protagonisti l’esercito di persone che usano quotidianamente il social media.

L’effetto sul pubblico è confuso e ha molte sfaccettature. Si va dal totale disinteresse sulla questione, al semplice rammarico annunciato sulla stessa piattaforma, passando per la pontificazione giuridica senza titoli e  finendo con l’amara consapevoleza di chi sa di non poter più fare a meno del nutrimento al proprio ego fornita da Zuckerberg e dalla dipendenza sviluppata verso il social.
Tra creazione di “marcatori somatici” e dipendenze, “dissonanze cognitive”, aumento dell’analfabetismo funzionale, possibilità di  controllare a distanza il proprio vicino di casa e la sua amante e “l’incredibile opportunità” di diventare sedicenti testimonial senza avere nessun mandato da parte di terzi, il pubblico accetta di pagare un prezzo per tutto questo.
Un prezzo non percepito totalmente perché senza esborso monetario diretto.

Rimango personalmente colpito dal clamore di alcune dichiarazioni di queste ore, spesso postate su Facebook (!), relative al passaggio di dati tra aziende. Questo mio approccio è dato dal fatto che questa attività è dichiarata nelle condizioni di utilizzo del social, che vengono accettate e che non vengono mai lette, perché troppo impazienti di postare la prima foto del gattino o del cagnolino. Quanto sta accadendo in queste ore è previsto e dichiarato. Ed è un problema che non interessa solo Facebook, ma anche le caselle e-mail e tutti i servizi digitali.
Personalmente, ho aperto una casella di posta su Gmail, e nelle condizioni si dichiara che i dati (ovviamente sempre per migliorare la nostra esperienza di navigazione ecc.), possono essere condivisi con aziende terze “e con persone di fiducia”. Ora di chi si fidino costoro non ci è dato sapere.

La sensazione è che, al di là dell’apatia e della dipendenza sviluppata – o fatta sviluppare – dalla platea sull’argomento privacy, non vi sia possibilità di difendersi davvero. Al punto che questa pecca normativa è stata istituzionalizzata con l’inserimento della normativa sui coockies, che ci infastidisce con un pop up ogni volta che accediamo ad un sito web e che continuiamo a non leggere.

Concludo quindi questo mio contributo, ponendomi una semplice domanda: La privacy che è al centro dei media in questi giorni, esiste? È possibile vivere senza essere intercettati, digitalizzati, studiati, geolocalizzati e ripresi nel mondo reale e in quello virtuale?
La risposta è no. Ogni volta che usiamo una carta fedeltà (chiamata “carta di profilazione” nel marketing), una carta di credito, che passiamo davanti ad un negozio, una banca, entriamo in una stazione, o semplicemente camminiamo per strada siamo al centro di obiettivi e algoritmi che incrociano i nostri dati e le nostre abitudini. Molto spesso i nostri dati non vengono estrapolati, ma siamo noi che li cediamo con una facilità – quella sì – sconcertante.
Non si tratta di appoggiare un sistema che ormai è consolidato, ma semplicemente di una presa d’atto legata al sistema che si è creato intorno a noi, per responsabilità anche personale. Perché in questa dichiarazione di consapevolezza, deve far parte anche un’analisi di responsabilità individuale che non può sempre interessare gli altri.

Quando nel 2011 ho pubblicato il mio Manifesto del Marketing Etico, scaricabile gratuitamente a questo indirizzo www.manifestodelmarketingetico.org, e ho iniziato a girare il Paese mettendo in guardia i consumatori circa questi pericoli e quelli derivanti dal dirty marketing, i primi segnali di una patologia di sistema conclamata c’erano già. Forse questo potrebbe essere il momento di un’analisi personale e da condividere, non via social, con coloro che ci circondano.

Emmanuele Macaluso

mercoledì 2 settembre 2015

I SOCIAL HANNO RICADUTE NEL MONDO REALE? SI, E TI SVELO I NUMERI.



Issue n° 41

(Tempo di lettura: 7 minuti)

ATTENZIONE: Quella presente in questo articolo non è la pubblicazione scientifica formale della ricerca denominata “Studio sulla creazione della credibilità percettiva attraverso i social media”, ma la pubblicazione dei soli risultati. L’autore si rende disponibile alla divulgazione dell’intero studio mediante le riviste scientifiche accreditate che la richiederanno.


Ogni studio o ricerca scientifica parte da delle domande. La domande che mi sono posto all’inizio dello studio sono state: Quale può essere l’impatto che le informazioni virtuali che acquisiamo dai social hanno sulla vita reale? Esiste un collegamento tra virtuale e reale? Quanto il virtuale può concretamente influire sul reale? Qual è il potenziale economico che si può sviluppare attraverso una corretta azione di personal branding a costo zero?
È per dare delle risposte a queste domande, e soprattutto dei dati oggettivi, che nel luglio 2014 ho coinvolto alcuni esperti di marketing, Relazioni Pubbliche e consulenti musicali per effettuare la ricerca denominata: “Studio sulla creazione della credibilità percettiva attraverso i social media”.

Parametri:
Lo studio ha dei parametri fissi che hanno lo scopo di non falsare il risultato statistico.
- Non utilizzare nessun servizio a pagamento (abbiamo infatti voluto ricreare in tutto e per tutto le condizioni che ha a disposizione un utente base).
- Suddividere lo studio in 2 fasi: nella prima il soggetto virtuale crea una sua credibilità e si inserisce tra gli utenti; nella seconda sviluppa la credibilità della propria professionalità. (Semplificando: nella prima fase si crea la credibilità del personaggio, nella seconda quella del suo prodotto).
- Le due fasi durano ognuna 30 giorni, per un totale di 60 giorni con una pausa intermedia per analizzare i dati della prima e preparare la seconda.
- Dell’avatar creato per lo studio - un musicista - non deve essere pubblicata nessuna presentazione video e musicale. (Di fatto non esiste una sola nota dell’avatar, semplicemente perché non esiste).
- I dati vanno analizzati solo attraverso software generici e non specifici. (Gli stessi che avrebbe a disposizione un utente medio).
- i dati devono essere divulgati all’opinione pubblica attraverso canali di divulgazione diretti e indiretti.

Obiettivo della ricerca:
- Valutare e acquisire dati circa l’influenza dell’ambiente virtuale su quello reale attraverso una strategia di marketing e personal branding a costo zero.
- Condividere gratuitamente i risultati acquisiti.

Ricerca e metodo:
La ricerca ha previsto la creazione di un “personaggio pubblico”, nella fattispecie un musicista, su un noto social network per studiare l’interazione degli altri soggetti e quantificare il grado di popolarità raggiunta nei tempi prefissati. Come precisato precedentemente, non è stato previsto nessun tipo di attività a pagamento.

Risultati:
Alla fine dei 60 giorni di ricerca, sono state 4.977 le persone che attraverso l’apposito tasto virtuale hanno deciso di apprezzare e/o seguire il “personaggio pubblico” creato per la ricerca. Secondo i dati raccolti prima della ricerca, possiamo dire che il risultato raggiunto rappresenta un dato medio di almeno 5 volte superiore rispetto alla media raggiunta dagli artisti che operano nello stesso ambito artistico specifico. Questo nonostante il fatto che questi ultimi siano iscritti al social da un tempo decisamente maggiore rispetto ai 60 giorni della ricerca.
Anche nelle dinamiche sviluppate sui social, sono stati osservati comportamenti già molto noti ai sociologi in ambito reale, tra questi spicca il conformismo sociale.
Per semplificare: il conformismo sociale è quel meccanismo secondo cui, per un individuo, è più facile fare un’azione se questo vede che la stessa azione viene compiuta da altri suoi simili. Si è notato che la progressione che è andata verso il risultato definitivo è aumentata in parallelo con la crescita del numero dei fan del nostro “personaggio pubblico”.
Una sorta di piano inclinato sociale nel mondo virtuale.
Se il fatto di avere dei numeri precisi e statisticamente rilevanti avrebbe già giustificato un impegno professionale di due mesi di operatività, dobbiamo segnalare che si tratta solo della punta dell’iceberg. I risultati più rilevanti infatti sono quelli che hanno visto le comunicazioni “in privato” tra gli altri utenti e il nostro avatar.

Alla fine dei 60 giorni di ricerca, il nostro “personaggio pubblico” ha ricevuto le seguenti opportunità professionali:
- 3 inviti a suonare dal vivo (dietro compenso)
- 3 interviste radiofoniche
- 1 invito a partecipare ad una trasmissione televisiva in un’emittente regionale
- 1 invito a partecipare ad un contest musicale
- 1 invito all’invio di materiale musicale verso un’etichetta musicale
- 1 invito all’invio di materiale musicale verso un organizzatore di eventi

Conclusioni generali
Una delle ragioni che sono alla base della conduzione di questo studio è stata la percezione (trasformatasi poi in certezza scientifica) che i social hanno un’influenza molto marcata nei confronti dei propri utenti. Influiscono nelle loro possibilità di scelta, nella creazione dei propri modelli di riferimento e nelle dinamiche sociali, da quelle più comuni a quelle più complesse.
La credibilità raggiunta dall’avatar, con l’ausilio di qualche post ben strutturato e con la scelta di qualche immagine non ha nessun riscontro logico e razionale con la realtà. Pensiamo solo al fatto che di questo “personaggio pubblico” non esiste neppure una foto del suo volto. Per creare l’immagine del profilo infatti, abbiamo dovuto “prestargli un corpo”, il cui volto era coperto da un cappello. Dell’avatar, lo ricordiamo, non esiste nessuna canzone o attività in ambito reale, in quanto non esiste.
Eppure le persone che hanno espresso il gradimento per questo fantomatico artista basterebbero per riempire la curva di uno stadio di medie dimensioni.
Ma ancor di più, è interessante la possibilità che ha avuto l’avatar di generare potenziali profitti senza avere neppure un prodotto reale, grazie alla creazione di una credibilità fondata sulla pura virtualità.
Più volte è capitato, durante riunioni di coordinamento, di chiederci come sia possibile non vivere di musica con un eventuale prodotto reale a disposizione.
Forse questi risultati dovrebbero far riflettere quelle migliaia di artisti (o presunti tali) che sbagliano il proprio approccio strategico e psicologico.
Durante la fase di ricerca abbiamo operato sotto il controllo di un Comitato Etico Scientifico, poiché il nostro intento non è mai stato quello di ingannare le persone (vere o presunte) che popolano i social, ma al contrario volevamo – e vogliamo tutt’ora – dimostrare l’importanza di un approccio meno “leggero” e di fiducia verso questo tipo di strumento, che si sta trasformando da canale di intrattenimento a canale di influenza sociale, culturale e di mercato.
Quindi l’invito è quello di valutare con maggiore attenzione e consapevolezza le conseguenze che il nostro “mondo virtuale” ha nei confronti di quello “reale”.

Conclusioni personali
I fatti di cronaca ci danno degli avvertimenti che a mio giudizio vengono ingiustificatamente ignorati. È dello scorso 26 agosto l’episodio di un ex reporter statunitense(1) che, a suo dire, era stato ingiustamente licenziato dall’emittente televisiva per la quale lavorava. L’uomo ha filmato con il proprio telefonino l’omicidio che ha commesso ai danni di un’ex collega e del cameraman, avvenuto mediante arma da fuoco, mentre questi intervistavano una donna. Anche quest’ultima rimasta ferita.
L’omicida prima di suicidarsi, nella sua scala di priorità, ha voluto postare il video sui social prima di farla finita. Un ennesimo atto concreto che ci indica quanto siano percepiti come prioritari ed importanti le piattaforme di condivisione. Piattaforme che, tra l’altro, si stanno strutturando e trasformando da social a media con servizi a pagamento.
Tra i dati che vanno a completare ed integrare quelli ottenuti dalla ricerca, si possono (e devono) aggiungere quelli che vedono crescere il numero dei soggetti seguiti da cure sanitarie per lo sviluppo di dipendenza dall’utilizzo dei social, che molto spesso portano i soggetti ad isolarsi dalle relazioni reali a discapito del proprio lavoro e dei propri affetti.
Le potenzialità del web e dei social nell’acquisire dati da studiare e utilizzare a fini sociali e di mercato è stata addirittura “istituzionalizzata”. Avrai notato infatti che da qualche mese i siti internet hanno avvisi che indicano il potenziale utilizzo di cookies. Ti sei preso del tempo per capire il perché? Quegli avvisi sono il frutto di una normativa del Garante della Privacy(2)  che tenta di regolarizzare, o almeno informare, circa queste attività di profilazione.

Concludendo, quello che abbiamo voluto dimostrare è la facilità con la quale possiamo essere influenzati e messi alla mercé di chi ha gli strumenti e le risorse tecniche ed economiche per pilotare le nostre scelte in molti ambiti sociali ed economici.
Non esistono “amici” o “followers” che ci seguono davvero, nonostante la creazione di un’auto-percezione che ci vuole personaggi pubblici solo perché sotto una nostra foto, per pura cortesia o per eventuali secondi fini, qualcuno in modo virtuale esegue, con un semplice click, un distratto segno di apprezzamento.
Il nostro Paese in realtà è ricco delle più belle piazze del mondo, forse dovremmo rieleggerle a nostri social. Chissà, forse potremmo goderci qualche apprezzamento vero.
La scienza esiste per farci evolvere e per aiutarci. Condividi e parla di quanto hai letto, non attraverso i social, ma attraverso le tue relazioni. Non possiamo permetterci di inviare un “grido di allarme”. Il nostro ruolo ci impone di studiare, osservare, dimostrare e divulgare e non di scendere sul piano degli “urlatori da social, dei falsi sensazionalisti e dei complottisti”.
Abbiamo il dovere di condividere saperi, e quelli che hai acquisito in questi pochi minuti sono a mio avviso importanti. Questa ricerca sarà citata in un libro, a cura di uno dei massimi esperti di Relazioni Pubbliche italiani e sarà probabilmente oggetto anche di una mia pubblicazione formale.
Aiutaci a diffonderla anche tu attraverso i tuoi canali e il tuo contributo.
Grazie per quello che farai.
Emmanuele Macaluso

(1) http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_26/usa-giornalista-cameraman-uccisi-colpi-pistola-diretta-tv-435bbfca-4bf4-11e5-b0ec-4048f87abc66.shtml?refresh_ce-cp
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/26/usa-killer-spara-troupe-televisiva-reporter-e-cameraman-uccisi-diretta/1985159/
http://www.repubblica.it/esteri/2015/08/26/news/usa_giornalista_e_cameramen_uccisi_durante_una_diretta_tv_in_virginia-121662692/?refresh_ce
(2) http://www.garanteprivacy.it/cookie
http://www.lastampa.it/2015/06/03/tecnologia/cosa-cambia-con-la-nuova-normativa-sui-cookie-ROzQZqHOaIF96jYP8VbAnJ/pagina.html
http://www.profiliaziendali.info/siti-web-dal-3-giugno-2015-nuova-normativa-cookie/

domenica 11 maggio 2014

ATTACCO ALL’EGO E ALLE RELAZIONI

Issue n° 37
(tempo di lettura: 3 minuti)

Siamo entrati in contatto con parole come reputation management e social media. Ci hanno fornito (a nostre spese) strumenti che “ci mettono in contatto” con il mondo in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo (rete permettendo).
Ma ti sei mai chiesto in che modo, questo nuovo modo di comunicare entra in connessione e condiziona le nostre vite, le nostre abitudini e le nostre attività relazionali? Ma soprattutto, questo mondo virtuale, può falsare la percezione che abbiamo di noi stessi in relazione al mondo che ci circonda?
Quante volte, prendendo la metropolitana, attraversando una piazza o semplicemente in un bar all’ora di pranzo, la nostra attenzione è stata attratta dalle persone attorno a noi? Quante di queste persone ci hanno sorriso, o hanno espresso a loro volta una qualsivoglia forma di attenzione verso di noi? Se la risposta è “capita sempre meno”, forse è quella corretta.
È sempre più facile trovare persone isolate in mezzo alla gente, alle prese con lo smartphone e il proprio profilo, intente a curare le proprie relazioni in modo assolutamente virtuale. Tutto questo, ovviamente, ignorando le persone intorno o addirittura provando fastidio per la vicinanza dei propri simili.
Se è vero che ognuno di noi è un mondo, sembra che non esista più un  universo. Tuttavia, la cosa peggiore è che nel nostro mondo noi siamo i re e le regine, ma il “popolo” non esiste davvero e soprattutto, che siamo alti, biondi, belli e con gli occhi azzurri, ce lo diciamo da soli. A volte in questo mondo costruiamo anche un tribunale, dal quale giudicare gli altri diventa ogni giorno più facile, mentre il nostro scanno si innalza lentamente e inesorabilmente, spinto dal basso verso l’alto dalla crescita del nostro ego.
E si vedono e ascoltano cose che ti danno l’esatta misura dei danni creati da questa visione del mondo.
Ti vengono dette affermazione del tipo: «Mah! Io i selfie proprio non li capisco, non mi piacciono!» (Disse l’uomo con un autoscatto come immagine del profilo Facebook)
«Internet è pericoloso per la privacy e i bambini, ci sono i pedofili! » (Disse la donna che ha cominciato a postare le foto del figlio da quando era ancora nella pancia, mentre utilizzando il cellulare ci fornisce la geolocalizzazione!)
E gli esempi potrebbero essere molti altri. Ma la cosa peggiore è che questo atteggiamento sta producendo danni relazionali e sociali dei quali pagheremo presto le conseguenze.
I “guru” stanno aumentando alla stessa velocità delle patologie contagiose e fondano la loro credibilità non sui risultati, ma sulla percezione e sui numeri “acquistati” a suon di Euro su Facebook.
Aumenta il numero delle persone, che quando trovano una tua chiamata senza risposta sul cellulare, invece di richiamarti si sentono autorizzati a non farlo, e se ti incontrano sanno solo dirti (senza scusarsi) che non hanno avuto tempo. Eppure, al di là della momentanea curiosità per la vita di persone così importanti con le quali abbiamo l’onore di condividere l’ossigeno, del loro impegno temporale non vi è traccia né nella realtà, né nella lista dei risultati.
Questo aumento esponenziale dell’ego assume toni al limite del ridicolo quando vedi alcuni atteggiamenti a dir poco curiosi. Hai mai sentito parlare del termine Osmosi?
Il dizionario Treccani lo definisce così: “In senso fig., influenza reciproca che persone, gruppi, elementi diversi esercitano l’uno sull’altro, soprattutto in quanto intervenga una reciproca compenetrazione di idee, atteggiamenti, esperienze e sim.: o. culturale, morale, sociale.” (1)
Presenti il tuo libro, e alla fine qualcuno ti si avvicina con un telefonino, a malapena ti saluta, scatta una foto e cinque minuti dopo la tua faccia è su un social, senza la firma di una liberatoria (alla faccia della privacy), e con un post che di fatto è l’epitaffio dell’onesta intellettuale.
E poi c’è la nuova tendenza, una strategia di marketing che si basa sul “testimonial del popolo”, in cui il testimonial non è famoso, non si paga e ha un ego enorme.
Il potenziale cliente. Cioè noi!
Molto spesso ci si mette una maglietta, ci si fa un selfie e si comincia a fare spam, così i nostri “amici” vedono quanto siamo importanti. La si usa anche per le “campagne sociali”. Ovviamente nel giro di pochi post di risposta l’oggetto della discussione diventano la maglietta e il sorriso del testimonial e non la tematica della campagna.
Ego appagato, “amici” annoiati a morte, temi della “campagna” con un range di successo che si basa sui “mi piace” e non sugli obiettivi reali raggiunti. Eventi dal vivo vuoti o con le solite 5 o 10 facce. Chissà come mai! Strano!
Premesso che la web credibility ha una sua importanza e una sua logica, con ricadute in ambito anche commerciale, e in più mette in evidenza l’ego dei “guru” che “gurano” da soli, senza un’audience neppure virtuale.
Non è un caso, che ormai ogni programma che va in onda in diretta ti chieda di twittare e commentarne in tempo reale i contenuti, e che sempre più spesso, nella stessa diretta, vengano resi pubblici i volumi del traffico social e web. Come se lo spettatore medio fosse un mass mediologo. Un esempio è “The Voice of Italy” con “collegamenti” nell’ormai famigerata web room, dove una ragazza illustra i risultati dei tweets più in auge della serata. Il collegamento è tra due studi adiacenti, basterebbe invitare la ragazza ad attraversare una porta, ma web room fa molto figo.
Ma gli esempi potrebbero essere molto altri.
Che cosa ci sta succedendo? Succede che anch’io in questo momento sto sbagliando, perché sono davanti lo schermo di un pc a scriverti, mentre potremmo guardarci negli occhi. Succede che voglio cambiare le cose e che per farlo DEVO e DOBBIAMO FARE qualcosa. In questo mondo, quello reale! Quello che ruota attorno al Sole e non quello virtuale che ruota attorno a noi. Penso che ora pubblicherò questo post e poi andrò su un social a parlare e a controllare le mie cose. È un social nuovo che ti consiglio, si chiama piazza! Se una volta lì socializzerò con qualcuno ti manderò un messaggio privato su Facebook!