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lunedì 29 febbraio 2016

DOMANDE E RISPOSTE SUL GOLF – L’IMPORTANZA DEL MARKETING E DEL MANAGEMENT NELLO SPORT PIU’ BELLO DEL MONDO



Issue n° 43



(Tempo di lettura: 6 minuti)



Il successo di un articolo non è facilmente preventivabile. Dipende dai lettori. Quando un paio di settimane fa ho scritto quello nel quale spiegavo la strategia di marketing dietro il successo della golfista Paige Spiranac, non avrei mai immaginato quello che è successo. Il post di lancio sui social ha raggiunto numeri notevoli, la stampa generalista ha “ripreso” – come si dice in gergo – l’articolo e ho ricevuto molti messaggi in privato. Mi chiedevano di dare una mia visione del momento attuale del golf in Italia. A mandarmi questi messaggi non erano solo i miei amici golfisti e addetti ai lavori, ma anche semplici aspiranti golfisti o amanti dello sport in genere.

Questo a riprova che nei confronti di questo meraviglioso sport c’è una grande “simpatia” e curiosità.

Da golfista, ho rispolverato la mia rubrica telefonica e ho chiamato alcuni miei amici che gravitano, a vario titolo, attorno al mondo dei green. Volevo ascoltare i cosiddetti addetti ai lavori. Volevo capire.

Chi mi conosce, sa bene che non sono persona che apre bocca quando non conosce l’argomento.

Scrivo quindi questo articolo in qualità di esperto di marketing, ex atleta professionista, giocatore di golf e conoscente di molti operatori del settore.

La parola che ho sentito pronunciare più spesso è “crisi”. Tanto per cambiare!

È indubbio che la gestione economica di un circolo sia difficoltosa. I costi fissi, basta fermarsi un attimo a pensare,  sono notevoli.



È altresì indubbio che ci siano però due fattori che non possiamo ignorare.



Il primo: la parola “crisi” viene spesso utilizzata a sproposito. Non si tiene conto del fatto che la crisi sia strettamente collegata al concetto di tempo. Se in questo momento io avessi una crisi respiratoria, e non passasse nel giro di qualche minuto, i miei parenti ne avrebbero un forte dispiacere. Almeno credo.

Quando un fattore negativo persiste, si deve parlare di fattore patologico, non di crisi. Questa crisi (vera o presunta) dura da troppo tempo per essere tale.



Il secondo: è un fattore di approccio al problema. Di natura culturale e psicologica. Quando mi parlano di “crisi”, mi sottolineano sempre cosa non va, e si fermano.

Mai una soluzione o un’azione!

Dei problemi sanno tutto, sono degli esperti, tuttavia quando finiscono di parlarne cala un silenzio imbarazzante e surreale. Come se la soluzione dovesse venire dal cielo o comunque sempre da qualcun altro. È come se chi facesse parte del problema, automaticamente si sentisse escluso dalla soluzione pur facendo parte di quell’ambiente.



Dare una soluzione a tutto questo non è semplice. Tutto sta nella ricerca di un equilibrio tra strategie di co-marketing (turistico e sportivo), management aziendale, event management, reputation management e soprattutto un cambio di mentalità ed approccio.

Tra i maestri di golf ormai si è già fatto strada il concetto di mental coaching. Peccato che gli stessi professionisti e i gestori dei circoli, il cambiamento mentale non lo attuino, e continuano a commettere errori che sono il frutto di abitudini e approcci sbagliati, che con il tempo si sono trasformati in metodo.



È necessario imparare a ragionare per macro sistemi. Inserendo il circolo e le proprie strategie in ambiti più ampi.

- Bisogna inserire il circolo all’interno di un contesto turistico di incoming attivo (marketing turistico)

- Bisogna lavorare sulla visibilità e sulla reputazione del circolo, affinché il pubblico possa entrare in contatto, conoscere e scegliere di far parte di quel golf club. Bisogna rendere il socio fiero di far parte del proprio circolo e del suo brand, facendo leva sullo spirito di appartenenza. Che non è da confondere con la cena natalizia! Mi riferisco a quell’esperienza esclusiva che deve vivere entrando quotidianamente nel suo golf club. Bisogna educarlo all’etichetta e fare in modo che questa disciplina diventi quello che cerca e che per lui fa la differenza. Sempre più spesso i telefonini suonano nelle club houses e sui campi, con conversazioni che diventano di dominio pubblico - per usare un eufemismo.

Domanda: ma devo pagare una quota da migliaia di euro anche per questo?

Bisogna in altre parole lavorare di RP, di reputation management e comunicazione.

- Bisogna avere una strategia di management corretta da attuare ogni giorno. Sono le buone prassi aziendali a dover diventare delle abitudini. I vecchi schemi mentali e tecnici, insieme alle vecchie abitudini, non permettono ai circoli di poter creare delle nuove opportunità di business. Poca attenzione verso i potenziali stakeholders, gli sponsor e i potenziali investitori, limitano le grandi potenzialità che un circolo ha di attrarre flussi economici e finanziari. In altre parole serve una strategia di management aziendale.

- Bisogna creare eventi, degni di questo nome. In grado di attrarre sportivi e persone che altrimenti non conoscerebbero le nostre realtà. Bisogna capire che un circolo può far parte di un sistema di interesse ampio e variegato, che aspetta solo di essere conquistato.

- Bisogna imparare a fare la differenza. Un golfista sa già cosa aspettarsi da un golf club quando lo visita la prima volta. Questo è buono. È rassicurante. Ma basta? Dobbiamo fare in modo che quel golfista ci aiuti a creare la nostra credibilità, la nostra reputazione positiva. Basta poco a volte per fare la differenza. Una buona comunicazione, la giusta professionalità del personale, la giusta cura per i dettagli.

Il logo ad esempio, spesso è solo un feticcio dell’estabilishment del circolo, o al contrario una cosa che viene vista come “inutile”. Il logo è il marchio distintivo che i soci e gli ospiti devono ricordare con orgoglio quando pensano alla loro esperienza di gioco e soggiorno.



Come si vede, attuare tutto questo non è facile. E non si può pensare che qualcosa di così complesso possa essere fatto “con il fai da te”, citando un vecchio spot di un noto tour operator che terminava con un “ahi ahi ahi!”.

È necessario coinvolgere professionisti delle suddette discipline.



Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è stato sentire frasi del tipo:«C’è crisi, non ce lo possiamo permettere». Ma scusate… ma il medico voi lo chiamate quando state bene? O lo chiamate per gestire la crisi e fare in modo che non diventi una patologia o un’agonia?



In questo contesto, vi è un’altra anomalia che non riguarda solo i circoli, ma anche i maestri e i professionisti. Ho parlato con alcuni di questi, e ho scoperto una cosa che mi ha lasciato perplesso. Per usare un altro eufemismo.

Non si vedono come degli atleti professionisti. (!)

Hanno tutti il poster di Rory McIlroy e Tiger Woods nel pro shop, ma non fanno nulla per avere i loro benefit. Si accontentano di avere “sponsorizzazioni” di aziende che gli cedono del materiale in usufrutto e si sentono realizzati. Quelli che pensano di essere più accorti inseriscono la parola “academy” accanto al cognome e con una pagina facebook con 200 o 300 “mi piace” credono di aver raggiunto un buon risultato.

Nell’articolo che “mi ha portato” a scrivere questo (1), ho spiegato come ad attirare le opportunità di business e gli sponsor ormai siano (soprattutto) i volumi, la visibilità e la reputazione nel mondo del management sportivo applicato agli atleti. Dovremmo già essere oltre questo concetto, non dovrei essere qui a scriverlo; ancora e ancor di più il lettore non dovrebbe leggerlo, ma avrebbe già dovuto interiorizzarlo. Che piaccia o no, una cosa: o funziona, o non funziona. O porta risultati, o alimenta le convinzioni, e queste non portano i flussi e i volumi che si potrebbero avere.

Alla domanda: «Perché gli sponsor veri dovrebbero darci i soldi? »

 C’è un’unica risposta: Per la visibilità che puoi dargli e per il valore percepito positivo collegato alla tua immagine e al tuo lavoro. Non per la “stima” dei colleghi (che comunque ci dovrebbe essere) e per i pochi contatti a disposizione. L’audience è un elemento semplice che esiste da molto tempo ormai. Non vale solo per gli altri. E non sono sempre e solo gli altri ad avere qualcosa da dimostrare. Al centro della mente e degli obiettivi di un atleta, pretendo il miglioramento dei propri limiti.



Ora, credo sia giusto terminare questo articolo con una domanda. La domanda che tutti si pongono.

Possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione? La risposta è ovvia: SI. Ma bisogna cambiare mentalità e abitudini.



È necessario che ognuno faccia il proprio lavoro e che per quello che non si conosce si chiamino professionisti in grado di fornire risultati, ancor più che servizi. Il fai da te non solo non basta, ma come le convinzioni, rischia di essere pericoloso. Non solo per le persone, ma anche per uno sport che merita di essere amato e di essere praticato. Accettate la sfida! Io sono pronto a farlo! E voi? Nel frattempo, mentre ci pensate, prendo la mia sacca e vado al circolo.



Emmanuele Macaluso



Note:

(1) link all’articolo dedicato a Paige Spiranac e alla sua strategia di personal branding e marketing




Chi è Emmanuele Macaluso.

Emmanuele Macaluso è un esperto di marketing e Relazioni Pubbliche. Ex atleta professionista, ha vinto numerosi titoli nel lancio del giavellotto sotto le insegne  della Sisport Fiat di Torino, mantenendo il diretto controllo sulle sue attività di  immagine, responsabilità sociale e con gli sponsor e i media. Terminata la sua carriera agonistica, ha iniziato il suo approccio al golf.

Ha collaborato professionalmente in diversi eventi sportivi, tra i quali citiamo i XX Giochi Olimpici Invernali di “Torino 2006” che lo hanno visto impegnato in qualità di N.O.C. Assistant aggregato al C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). È stato volontario durante il “BMW Italian Open” del 2012 al Royal Park I Roveri di Torino.

Formatosi come esperto marketing e comunicazione, con una specializzazione didattica in turismo, dal 2003 al 2006 ha fondato e diretto “Turincoming”, un network turistico di eccellenza e lusso specializzato in strategie di incoming nell’area piemontese.

È stato docente per decine di enti di formazione e consulente per diversi enti privati nazionali e internazionali.

Autore del Manifesto del Marketing Etico, ha scritto numerosi articoli specialistici legati al marketing, alla comunicazione, alla csr e vanta 2 saggi pubblicati (entrambi inseriti dall’Unesco nella propria biblioteca).

Attualmente vive a Torino.



Riconoscimenti e premi

- Novembre 2015: Il saggio "Dirty Marketing" edito da Golem Edizioni viene insignito del Marchio della Microeditoria di Qualità 2015 per la sezione saggistica.

- Novembre 2014: Il saggio "Dirty Marketing" edito da Golem Edizioni viene inserito all'interno della biblioteca del Centro Unesco di Torino.

- Luglio 2014: Il saggio "Bende Invisibili" edito da Marco Valerio Edizioni viene inserito all'interno della biblioteca del Centro Unesco di Torino.

- Novembre 2009: Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferisce al "Comitato Giù le Mani dai Bambini Onlus" la Targa d'Argento per valore civile nel periodo di coordinamento della segreteria nazionale dell'Ente.

- Aprile 2007: Riconoscimento formale rilasciato per motivi sociali e sportivi dalla Circoscrizione 9 della Città di Torino.

- Settembre 2003: Diviene il più giovane docente di "Tecnica Turistica Applicata e Marketing" d'Italia ad essere impiegato in un Istituto Statale.



Informazioni complete sul sito web all’indirizzo www.emacaluso.com

mercoledì 2 settembre 2015

I SOCIAL HANNO RICADUTE NEL MONDO REALE? SI, E TI SVELO I NUMERI.



Issue n° 41

(Tempo di lettura: 7 minuti)

ATTENZIONE: Quella presente in questo articolo non è la pubblicazione scientifica formale della ricerca denominata “Studio sulla creazione della credibilità percettiva attraverso i social media”, ma la pubblicazione dei soli risultati. L’autore si rende disponibile alla divulgazione dell’intero studio mediante le riviste scientifiche accreditate che la richiederanno.


Ogni studio o ricerca scientifica parte da delle domande. La domande che mi sono posto all’inizio dello studio sono state: Quale può essere l’impatto che le informazioni virtuali che acquisiamo dai social hanno sulla vita reale? Esiste un collegamento tra virtuale e reale? Quanto il virtuale può concretamente influire sul reale? Qual è il potenziale economico che si può sviluppare attraverso una corretta azione di personal branding a costo zero?
È per dare delle risposte a queste domande, e soprattutto dei dati oggettivi, che nel luglio 2014 ho coinvolto alcuni esperti di marketing, Relazioni Pubbliche e consulenti musicali per effettuare la ricerca denominata: “Studio sulla creazione della credibilità percettiva attraverso i social media”.

Parametri:
Lo studio ha dei parametri fissi che hanno lo scopo di non falsare il risultato statistico.
- Non utilizzare nessun servizio a pagamento (abbiamo infatti voluto ricreare in tutto e per tutto le condizioni che ha a disposizione un utente base).
- Suddividere lo studio in 2 fasi: nella prima il soggetto virtuale crea una sua credibilità e si inserisce tra gli utenti; nella seconda sviluppa la credibilità della propria professionalità. (Semplificando: nella prima fase si crea la credibilità del personaggio, nella seconda quella del suo prodotto).
- Le due fasi durano ognuna 30 giorni, per un totale di 60 giorni con una pausa intermedia per analizzare i dati della prima e preparare la seconda.
- Dell’avatar creato per lo studio - un musicista - non deve essere pubblicata nessuna presentazione video e musicale. (Di fatto non esiste una sola nota dell’avatar, semplicemente perché non esiste).
- I dati vanno analizzati solo attraverso software generici e non specifici. (Gli stessi che avrebbe a disposizione un utente medio).
- i dati devono essere divulgati all’opinione pubblica attraverso canali di divulgazione diretti e indiretti.

Obiettivo della ricerca:
- Valutare e acquisire dati circa l’influenza dell’ambiente virtuale su quello reale attraverso una strategia di marketing e personal branding a costo zero.
- Condividere gratuitamente i risultati acquisiti.

Ricerca e metodo:
La ricerca ha previsto la creazione di un “personaggio pubblico”, nella fattispecie un musicista, su un noto social network per studiare l’interazione degli altri soggetti e quantificare il grado di popolarità raggiunta nei tempi prefissati. Come precisato precedentemente, non è stato previsto nessun tipo di attività a pagamento.

Risultati:
Alla fine dei 60 giorni di ricerca, sono state 4.977 le persone che attraverso l’apposito tasto virtuale hanno deciso di apprezzare e/o seguire il “personaggio pubblico” creato per la ricerca. Secondo i dati raccolti prima della ricerca, possiamo dire che il risultato raggiunto rappresenta un dato medio di almeno 5 volte superiore rispetto alla media raggiunta dagli artisti che operano nello stesso ambito artistico specifico. Questo nonostante il fatto che questi ultimi siano iscritti al social da un tempo decisamente maggiore rispetto ai 60 giorni della ricerca.
Anche nelle dinamiche sviluppate sui social, sono stati osservati comportamenti già molto noti ai sociologi in ambito reale, tra questi spicca il conformismo sociale.
Per semplificare: il conformismo sociale è quel meccanismo secondo cui, per un individuo, è più facile fare un’azione se questo vede che la stessa azione viene compiuta da altri suoi simili. Si è notato che la progressione che è andata verso il risultato definitivo è aumentata in parallelo con la crescita del numero dei fan del nostro “personaggio pubblico”.
Una sorta di piano inclinato sociale nel mondo virtuale.
Se il fatto di avere dei numeri precisi e statisticamente rilevanti avrebbe già giustificato un impegno professionale di due mesi di operatività, dobbiamo segnalare che si tratta solo della punta dell’iceberg. I risultati più rilevanti infatti sono quelli che hanno visto le comunicazioni “in privato” tra gli altri utenti e il nostro avatar.

Alla fine dei 60 giorni di ricerca, il nostro “personaggio pubblico” ha ricevuto le seguenti opportunità professionali:
- 3 inviti a suonare dal vivo (dietro compenso)
- 3 interviste radiofoniche
- 1 invito a partecipare ad una trasmissione televisiva in un’emittente regionale
- 1 invito a partecipare ad un contest musicale
- 1 invito all’invio di materiale musicale verso un’etichetta musicale
- 1 invito all’invio di materiale musicale verso un organizzatore di eventi

Conclusioni generali
Una delle ragioni che sono alla base della conduzione di questo studio è stata la percezione (trasformatasi poi in certezza scientifica) che i social hanno un’influenza molto marcata nei confronti dei propri utenti. Influiscono nelle loro possibilità di scelta, nella creazione dei propri modelli di riferimento e nelle dinamiche sociali, da quelle più comuni a quelle più complesse.
La credibilità raggiunta dall’avatar, con l’ausilio di qualche post ben strutturato e con la scelta di qualche immagine non ha nessun riscontro logico e razionale con la realtà. Pensiamo solo al fatto che di questo “personaggio pubblico” non esiste neppure una foto del suo volto. Per creare l’immagine del profilo infatti, abbiamo dovuto “prestargli un corpo”, il cui volto era coperto da un cappello. Dell’avatar, lo ricordiamo, non esiste nessuna canzone o attività in ambito reale, in quanto non esiste.
Eppure le persone che hanno espresso il gradimento per questo fantomatico artista basterebbero per riempire la curva di uno stadio di medie dimensioni.
Ma ancor di più, è interessante la possibilità che ha avuto l’avatar di generare potenziali profitti senza avere neppure un prodotto reale, grazie alla creazione di una credibilità fondata sulla pura virtualità.
Più volte è capitato, durante riunioni di coordinamento, di chiederci come sia possibile non vivere di musica con un eventuale prodotto reale a disposizione.
Forse questi risultati dovrebbero far riflettere quelle migliaia di artisti (o presunti tali) che sbagliano il proprio approccio strategico e psicologico.
Durante la fase di ricerca abbiamo operato sotto il controllo di un Comitato Etico Scientifico, poiché il nostro intento non è mai stato quello di ingannare le persone (vere o presunte) che popolano i social, ma al contrario volevamo – e vogliamo tutt’ora – dimostrare l’importanza di un approccio meno “leggero” e di fiducia verso questo tipo di strumento, che si sta trasformando da canale di intrattenimento a canale di influenza sociale, culturale e di mercato.
Quindi l’invito è quello di valutare con maggiore attenzione e consapevolezza le conseguenze che il nostro “mondo virtuale” ha nei confronti di quello “reale”.

Conclusioni personali
I fatti di cronaca ci danno degli avvertimenti che a mio giudizio vengono ingiustificatamente ignorati. È dello scorso 26 agosto l’episodio di un ex reporter statunitense(1) che, a suo dire, era stato ingiustamente licenziato dall’emittente televisiva per la quale lavorava. L’uomo ha filmato con il proprio telefonino l’omicidio che ha commesso ai danni di un’ex collega e del cameraman, avvenuto mediante arma da fuoco, mentre questi intervistavano una donna. Anche quest’ultima rimasta ferita.
L’omicida prima di suicidarsi, nella sua scala di priorità, ha voluto postare il video sui social prima di farla finita. Un ennesimo atto concreto che ci indica quanto siano percepiti come prioritari ed importanti le piattaforme di condivisione. Piattaforme che, tra l’altro, si stanno strutturando e trasformando da social a media con servizi a pagamento.
Tra i dati che vanno a completare ed integrare quelli ottenuti dalla ricerca, si possono (e devono) aggiungere quelli che vedono crescere il numero dei soggetti seguiti da cure sanitarie per lo sviluppo di dipendenza dall’utilizzo dei social, che molto spesso portano i soggetti ad isolarsi dalle relazioni reali a discapito del proprio lavoro e dei propri affetti.
Le potenzialità del web e dei social nell’acquisire dati da studiare e utilizzare a fini sociali e di mercato è stata addirittura “istituzionalizzata”. Avrai notato infatti che da qualche mese i siti internet hanno avvisi che indicano il potenziale utilizzo di cookies. Ti sei preso del tempo per capire il perché? Quegli avvisi sono il frutto di una normativa del Garante della Privacy(2)  che tenta di regolarizzare, o almeno informare, circa queste attività di profilazione.

Concludendo, quello che abbiamo voluto dimostrare è la facilità con la quale possiamo essere influenzati e messi alla mercé di chi ha gli strumenti e le risorse tecniche ed economiche per pilotare le nostre scelte in molti ambiti sociali ed economici.
Non esistono “amici” o “followers” che ci seguono davvero, nonostante la creazione di un’auto-percezione che ci vuole personaggi pubblici solo perché sotto una nostra foto, per pura cortesia o per eventuali secondi fini, qualcuno in modo virtuale esegue, con un semplice click, un distratto segno di apprezzamento.
Il nostro Paese in realtà è ricco delle più belle piazze del mondo, forse dovremmo rieleggerle a nostri social. Chissà, forse potremmo goderci qualche apprezzamento vero.
La scienza esiste per farci evolvere e per aiutarci. Condividi e parla di quanto hai letto, non attraverso i social, ma attraverso le tue relazioni. Non possiamo permetterci di inviare un “grido di allarme”. Il nostro ruolo ci impone di studiare, osservare, dimostrare e divulgare e non di scendere sul piano degli “urlatori da social, dei falsi sensazionalisti e dei complottisti”.
Abbiamo il dovere di condividere saperi, e quelli che hai acquisito in questi pochi minuti sono a mio avviso importanti. Questa ricerca sarà citata in un libro, a cura di uno dei massimi esperti di Relazioni Pubbliche italiani e sarà probabilmente oggetto anche di una mia pubblicazione formale.
Aiutaci a diffonderla anche tu attraverso i tuoi canali e il tuo contributo.
Grazie per quello che farai.
Emmanuele Macaluso

(1) http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_26/usa-giornalista-cameraman-uccisi-colpi-pistola-diretta-tv-435bbfca-4bf4-11e5-b0ec-4048f87abc66.shtml?refresh_ce-cp
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/26/usa-killer-spara-troupe-televisiva-reporter-e-cameraman-uccisi-diretta/1985159/
http://www.repubblica.it/esteri/2015/08/26/news/usa_giornalista_e_cameramen_uccisi_durante_una_diretta_tv_in_virginia-121662692/?refresh_ce
(2) http://www.garanteprivacy.it/cookie
http://www.lastampa.it/2015/06/03/tecnologia/cosa-cambia-con-la-nuova-normativa-sui-cookie-ROzQZqHOaIF96jYP8VbAnJ/pagina.html
http://www.profiliaziendali.info/siti-web-dal-3-giugno-2015-nuova-normativa-cookie/

venerdì 13 dicembre 2013

QUANDO AL MARKETING VENNE PERMESSO DI CAMBIARE L’ABITO AD UN SANTO



ISSUE n° 33

(tempo di lettura 4 minuti)
Eccomi di ritorno dopo qualche mese dedicato alle riprese de La Rivelazione (www.larivelazione-ilfilm.com) e al lancio del trailer che, come avrai potuto leggere nel post precedente, è stato un successo.
Per il primo post dopo questa lunga pausa, visto il periodo natalizio, vorrei condividere con te una storia che non tutti sanno, ma che rende l’idea di quanto sia impattante l’influenza che ha il marketing sull’opinione pubblica.
Questo mese desidero parlarti di Babbo Natale, alias Santa Claus.
Le sue origini non sono del tutto chiare, tuttavia la maggior parti delle fonti dà al nostro origini cristiane. Viene generalmente identificato come San Nicola di Bari, o semplicemente Nicola della città di Myra (antica città dell'odierna Turchia), di cui si racconta che ritrovò e riportò in vita cinque fanciulli che erano stati rapiti e uccisi da un oste e che per questo era considerato il protettore dei bimbi.
Ma non è di questo che voglio parlarti, quanto del suo abito. Ormai noi siamo abituati al Babbo Natale che con il suo abito rosso e le bordature di pelliccia bianca porta i doni ai bambini di tutto il mondo durante la notte della vigilia. Ma non è stato sempre così. Anche se fin da quando siamo piccoli, i nostri ricordi natalizi ci riportano con grande facilità ad alcuni spot caratteristici e da alcune musichette... anzi a pensarci bene, a volte sono gli spot e le musichette a riportarci al periodo natalizio...
Il primo abito di Santa Claus non era rosso, ma tendenzialmente verde. Raramente lo si ritrova anche blu. Non solo, l’iconografia classica gli conferisce una lunga (e poco pratica) tunica, coperta da un lungo cappotto dello stesso colore. Puoi trovare molte immagini sul web ora che lo sai.
Ma chi ha cambiato abito al santo? Chi può aver fatto questa operazione di restyling al nostro portatore di doni?
Ci ha pensato la Coca Cola, all’inizio del ‘900, più precisamente nel 1931, quando l’azienda di Atlanta (in Georgia) ha ritenuto opportuno “collegare” l’immagine di Santa Claus (simbolo del Natale e testimonial molto conosciuto dai bambini) a quella del proprio brand.
L’immagine di Babbo Natale non solo “fa festa” e “fa Natale”, ma soprattutto ha un forte ascendente non solo sui bambini, ma anche sui genitori (i “portatori di portafogli”) che mantengono comunque il proprio lato infantile custodito nel subconscio. Il testimonial perfetto!
Si è così pensato di trasformare il verde e il bianco, in rosso e bianco, come il marchio della nota bibita, in più, il panciuto testimonial abbandona tunica e cappotto per una più comoda tenuta che prevede l’utilizzo di grossi stivali, pratici pantaloni e una giubba corredata da un cinturone. Il berretto, non sempre indossato, è rosso e incornicia il volto paffuto e ricoperto dalla lunga e candida barba. Molto rassicurante.
Ma perché il cambio d’abito e non solo il cambio di colore?
La risposta è nella sagoma.
Se osservate la sagoma di Babbo Natale, questa riprende perfettamente la sagoma della classica bottiglietta di vetro della Coca Cola. La parte bassa della bottiglietta è più larga (stivali), salendo si restringe (gambe) per “riallargarsi” verso il centro (pancia) e poi si riassottiglia verso il collo. Il cappello rappresenta il coperchio.
Questo cambiamento culturale, ha condizionato profondamente la cultura americana e ha invaso le altre culture occidentali a livello mondiale.
Ecco come un’azienda, attraverso il marketing può far cambiare una percezione radicata nella propria cultura e nella propria religione.
Ti auguro buone feste, passa del tempo di qualità con chi ti vuole bene e ci vediamo (e leggiamo) nel 2013!
Ovviamente, come sempre, ogni tuo commento o contributo a questo articolo è assolutamente gradito e sarò felice di risponderti.

Fonti:
“Per Dio la Patria e la Coca Cola. La vera storia (non autorizzata) della bibita più famosa del mondo” di Mark Pendergrast, ed. Piemme 1993
link: