lunedì 26 aprile 2010

“IL MADE IN ITALY NON ESISTE” ecco cosa ha prodotto una scorretta ma efficace operazione di brand management

ISSUE n° 5 BLOG MARKETING

(Tempo di lettura 5 minuti)

Questa volta non ti parlerò né di una vera e propria strategia di Marketing né di un case history.

Desidero condividere con te alcune riflessioni legate al tanto abusato termine “Made in Italy”.

Intanto, non ti nascondo che trovo alquanto singolare il fatto che un marchio di qualità che dovrebbe identificare un prodotto italiano, sia scritto in inglese. Ho sempre pensato che, nonostante la globalizzazione, quando si ha un prodotto forte, sia necessario farlo conoscere e identificare sul mercato attraverso le sue caratteristiche originali. Come i francesi, che hanno scelto un Fabriqué en France. Prima contraddizione.


La seconda contraddizione, è anch’essa interessante, e la incontriamo proprio quando cominciamo a parlare di globalizzazione. Mi domando, come fai a marcare un prodotto “Made in Italy” quando lo metti in lavorazione dall’altra parte del mondo, a costo di produzione praticamente nullo per poi rivenderlo sul mercato italiano ad un prezzo che ti fa pensare sia stato fatto in una suite del migliore albergo romano?


Come fai a marcare un prodotto “Made in Italy”, se in realtà quel prodotto nella maggior parte dei casi: non è fabbricato da manodopera italiana, non è costituito da materiali italiani e in alcuni casi non ha neppure un concept italiano.
Proprio così, neppure un concept italiano. Lo sapevi ad esempio, che alcuni stilisti, soprattutto per quanto riguarda i jeans e le T-shirt non mandano neppure i modelli da confezionare in Cina, ma scelgono i modelli che i cinesi gli mandano? Curioso vero? Però è così.

Nell’arco degli anni è stato creato un brand, attraverso strategie precise di brand management e brand credibility che hanno portato il mercato a non accorgersi della menzogna sul quale tutto ciò fonda le sue radici.

Sia chiaro, qualche buona azienda italiana, che riesce a vincere le proprie sfide giocando pulito c’è, ma ti assicuro che, se alzerai i sassi per vedere cosa c’è sotto, troverai delle sorprese a dir poco interessanti.

Ad esempio, lo sai che perfino l’icona del “Made in Italy” è una burla?
Non mi dirai che non te ne sei accorto! Mi riferisco alla macchina per eccellenza, quella che ha “motorizzato” l’Italia e che è tornata in gran forma qualche anno fa, tra lustrini e bandierine italiane.


Sicuramente hai capito di cosa sto parlando. Anzi vatti a vedere lo straordinario spot che è stato fatto per il lancio, dura pochissimo, sicuramente ti renderà fiero di essere italiano e la voce di Ricky Tognazzi ti farà venire i brividi.

Ecco il link:
www.youtube.com/watch?v=XFbJHnoT7i0

Bello vero? Peccato che molte di quelle grandi personalità non ci siano più, anzi, ti dirò, mi chiedo che cosa penserebbero quelle grandi personalità se gli dicessimo la verità, e cioè che la macchina in questione la fanno in Polonia. Proprio così, “Made in Poland” o “Polska” se preferisci.

Grazie alle strategie di “posizionamento culturale” puoi fare anche questo. Fico no? Beh, direi di no.

Trovo non etico spingere un prodotto, come se fosse un’icona nazionale facendola fare all’estero. Qui la verità non viene nascosta ma manipolata attraverso la “P” della promozione e tutte le sue sottocategorie.

Se poi, aggiungiamo la politica di prezzo attraverso la quale, la fabbrichiamo in Polonia e la facciamo pagare come se venisse fatta in Italia. Però in una suite del Golden Palace di Torino questa volta…

Chissà quelle personalità che non ci sono più, che cosa penserebbero di come ci siamo ridotti, di come ormai abbiamo lasciato i valori reali per vivere in un contesto pieno di semplici valori percepiti, ma soprattutto, Borsellino e Falcone (anch’essi presenti nello spot), da buoni meridionali, che cosa penserebbero se sapessero che l’icona italiana viene fabbricata in Polonia e Termini Imerese sta per chiudere?

Questo non è un attacco ad un’azienda in particolare, è una riflessione su un sistema che sta per implodere e che tra non molto, a causa del suo “appoggio sul niente” diventerà ingestibile anche per noi tecnici.

Serve una presa di coscienza reale da parte di tutti noi e soprattutto un’insieme di azioni concrete di risanamento delle strategie. Bisogna lavorare sul prodotto e sull’equilibrio e il rispetto che vi deve essere tra chi immette qualcosa e il mercato.

Ce la faremo? Credo che dovremmo farlo. Io ci provo e sappi che probabilmente avrò bisogno di te.